Cultura e Spettacoli

Il problema umano di essere se stessi

Accanto a Hans-Georg Gadamer e a Luigi Pareyson, Paul Ricoeur è stato uno dei padri dell’ermeneutica filosofica della seconda metà del Novecento. Formatosi in Francia nel primo dopoguerra alla scuola del personalismo cristiano di Emmanuel Mounier e nel circolo filosofico di Gabriel Marcel, ha aderito nella giovinezza all’ideologia socialista, esito inevitabile, ai suoi occhi, di ogni autentico impegno cristiano.
Prigioniero nel corso della seconda guerra mondiale, al ritorno in patria si è dedicato in particolare allo studio della filosofia tedesca della prima metà del secolo. Docente a Strasburgo dal 1948 al 1956, ha studiato la fenomenologia husserliana e le filosofie dell’esistenza di Karl Jaspers e di Martin Heidegger, approfondendo innanzitutto il problema del male e della colpa e, successivamente, il grande tema del rapporto che intercorre tra verità e storia. Ricoeur è rimasto fedele, in quegli stessi anni, sia all’impegno politico della giovinezza, sia all’ispirazione cristiana, con un particolare riferimento all’opera di Karl Barth e alla teologia dialettica del primo Novecento. Collaboratore di Ésprit, membro autorevole della comunità personalistica, ha preso posizione pubblica contro la guerra d’Algeria, facendosi portavoce di una concezione severa e, al tempo stesso, aperta della «democrazia sociale».
Consacrato professore alla Sorbona nel 1957, nel successivo decennio si è dedicato in modo particolare allo studio di Freud, considerato da Ricoeur uno dei padri fondatori dell’ermeneutica, misurandosi peraltro in un confronto quotidiano con l’opera di Lacan, con lo strutturalismo e con il marxismo di Louis Althusser. Da questo dialogo a più voci, è nata l’ermeneutica e la filosofia del linguaggio della maturità di Ricoeur: è di questi anni la riscoperta di Heidegger, il confronto con la demitizzazione bultmanniana, il ripensamento critico della parola come simbolo e metafora vivente di un’esperienza che si apre al di là della filosofia stessa in direzione del Sacro.
Nel 1965-70 Ricoeur, decano della facoltà di lettere di Paris-Nanterre, cerca invano di stabilire un colloquio con la contestazione studentesca del ’68, ma dopo essersi rifiutato di tenere una lezione viene aggredito da un gruppo di studenti particolarmente violenti, seguaci della rivoluzione culturale cinese, che gli scaraventano sulla testa una pattumiera. E ciò nonostante Ricoeur avesse, nel giugno del 1968, pubblicato tre importanti articoli su Le Monde, dove aveva scritto fra l’altro: «Siamo entrati in un tempo in cui è necessario operare riforme e al tempo stesso restare rivoluzionari. Nei tempi futuri l’arte del legislatore consisterà nel varare istituzioni leggere, revocabili e riparabili, aperte a un processo interno di revisioni e a un processo esterno di contestazioni».
In questi articoli Ricoeur metteva in causa la stessa relazione gerarchica dominante fra professori e studenti, si schierava insomma dalla parte della contestazione. Nonostante la solidarietà manifestatagli dai sindacati operai e anche da movimenti appartenenti alla contestazione, Ricoeur, non ottenendo la solidarietà di alcuni colleghi, abbandonò Nanterre rifugiandosi in America, dove ha continuato a insegnare dal 1970 al 1992, riscuotendo da studenti e colleghi un notevole riconoscimento accademico, e decisive gratificazioni umane.
Nel 1970, a Chicago, Ricoeur ricopre la cattedra che era stata del teologo tedesco Paul Tillich. Vi conosce Mircea Eliade, del quale diviene amico, stabilendo una solida collaborazione scientifica, contribuendo in particolare alla stesura de La storia delle credenze e delle idee religiose di cui è stato il primo recensore. Negli Stati Uniti consacra i suoi studi all’elaborazione di un’ampia esposizione critica del problema del tempo in Aristotele e Sant’Agostino, consegnata ad un’opera molto vasta intitolata Temps e Récit che segue immediatamente La Métaphore vive del 1975.
Nel 1986 il figlio Olivier si uccide a Londra, dopo aver accompagnato il padre, in partenza per Praga, all’aeroporto. Qualche settimana dopo, muore a Chicago anche Mircea Eliade. Di fronte a questi eventi drammatici, così diversi, la morte di un figlio in giovane età che non lascia nulla dietro di sé e quella dell’amico che, al contrario, riscuote un riconoscimento internazionale per le sue opere, Ricoeur scrive: «Dovevo apprendere che la morte, eguagliando i destini, invita a trascendere la differenza apparente fra l’opera e la mancanza di ogni opera». La tragica scomparsa del figlio ripropone nuovamente a Ricoeur il problema del male che aveva affrontato nella giovinezza. Nel 1986 pubblica Du texte à l’action, dedicato «alla memoria di Olivier» e nel volume del 1990 intitolato Soi-même comme un autre il capitolo introduttivo a questa «piccola etica», intitolato «Le tragique de l’action», è ancora dedicato al figlio suicida.
In questi anni Ricouer ripensa criticamente i concetti etici fondamentali della tradizione occidentale: il concetto aristotelico di sapienza pratica e il destino di Giobbe nella tradizione biblico-cristiana. Col passare degli anni la filosofia di Ricoeur, proprio attraverso la meditazione del male radicale, riscopre la dimensione religiosa della vita. Solo in quest’ultima (che, per Ricoeur, non va confusa con la filosofia), l’uomo può riattingere l’orizzonte della speranza, in cui si collocano tanto il desiderio di una vita eticamente buona, quanto la preoccupazione della giustizia sociale.

Il messaggio finale di questa staordinaria figura di filosofo impegnato, è infine un invito a non disperare degli uomini e del mondo.

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