Politica

Prodi chiude la porta ai centristi del Polo

Vincenzo Pricolo

da Milano

Alla festa nazionale dell'«Unità» è il giorno di Romano Prodi, il «dottor Balanzone», come lo chiama un giovane e spiritoso dirigente milanese della Quercia che poi lo scorterà rispettosamente fino al tendone dei dibattiti. E il professore bolognese non delude la platea che lo attende nella calura propinando ai presenti (in prima fila c'erano anche Sabrina Ferilli ed Edvige Fenech) una lunga ma gradita lezione di bipolarismo spinto con ricadute nel globalismo ulivista di ritorno. L'idea di un patto di desistenza con l'Udc nel caso i centristi della Casa delle libertà mollino il centrodestra? «Quello che succede fuori della porta - scandisce Prodi fra gli applausi - non ci deve interessare. Andiamo avanti a costruire il nostro programma, andiamo avanti con l'Unione e basta».
L'ex presidente della Commissione di Bruxelles si augura e pronostica un successore di Carlo Azeglio Ciampi al Quirinale che sia un esponente del suo schieramento, esclude riforme condivise e torna alla carica con un cavallo che sembrava dimenticato per sempre, l'Ulivo mondiale. «Sono entrato in politica - ricorda - perché credo nella necessità di unire i riformismi. Ci vorrà tempo, ci vorrà pazienza ma abbiamo l'obbligo politico e morale di farlo».
Ma anche sui contenuti il Professore si mostra sufficientemente «radicale». Annuncia che il suo primo impegno di governo sarà di avviare un programma che «in cinque anni garantisca un posto all'asilo nido a metà dei bambini italiani» e che subito dopo «dovremo lavorare con i sindaci a favore delle periferie delle grandi città per rimediare a due generazioni di speculazione edilizia folle e di devastazione urbanistica». La difesa del modello europeo di Stato sociale e di gestione dell'immigrazione deve essere attentissima. «Se si comincia con i "discorsi a Pera" - avverte con il tono ispirato - si sviluppa una mentalità dalla quale non si guarisce più». Sull'Irak «non faremo come Zapatero o come Blair, faremo come noi», scandisce fra gli applausi della platea. «Prepareremo, come ho detto quaranta volte, un calendario per l'uscita e manterremo la presenza per la ricostruzione civile ed economica di quel Paese».
Unica concessione allo spirito bipartisan, l'insistenza sulle autorità indipendenti di controllo, come la Banca d'Italia. «La mancanza di norme chiare ha prodotto gravi problemi e Fazio ha danneggiato il Paese».
Il Professore, reduce dal seminario Ambrosetti di Cernobbio dove aveva annunciato che in caso di vittoria elettorale si dedicherebbe «nei primi cento giorni alle riforme strutturali» necessarie per una terapia d'urto che tolga agli italiani «non soldi ma privilegi». Sull’argomento ha rincarato l’ex sottosegretario Ds alle Comunicazioni Vincenzo Vita: «Come prima cosa aboliremo la legge Gasparri».
Presentato a Milano da Fassino come «capo dell'Unione e futuro presidente del Consiglio», l'ex premier si offre alle domande di Bianca Berlinguer (che è stata messa in difficoltà solo quando il Professor ha fatto una battuta su «anche quelli che lavorano in Rai tengono famiglia»), Gad Lerner e Michele Santoro (che invece durante le ferie è dimagrito) ed esordisce stoppando le aperture di credito che i centristi del suo schieramento potrebbero rivolgere in vista delle elezioni ai loro «fratelli separati» del centrodestra e sottolineando che la scelta del prossimo capo dello Stato «dipenderà moltissimo dal risultato del voto». «Spero che si vada al più presto alle urne - dice il professore di bipolarismo - in modo tale che il nuovo presidente della Repubblica sia scelto in presenza di un Parlamento già consolidato e un governo già in carica». Quindi niente nomine condivise? «Difficile, vedremo - ragiona il Professore -. Con Ciampi è successo ma è stato un evento raro. Anche all'estero, peraltro». Stesso discorso per le riforme. «Vorrei sapere - chiede - in quale Paese al mondo il governo fa le riforme insieme con l'opposizione. È rarissimo. La regola della democrazia è l'alternanza».
Lerner gli chiede delle primarie, sottolineando il fatto che il centrosinistra ha deciso di affidare al candidato premier un'investitura popolare solo perché un partito (la Margherita di Francesco Rutelli) ha deciso di presentarsi alle elezioni con il proprio simbolo. E il Professore risponde sornione: «Dissi che non fare l'Ulivo era un suicidio». E ancora. «In una sua recente intervista - spiega - Veltroni torna all'idea dell'Ulivo mondiale ed è giusto.

Fra poco andremo da Clinton e diremo che nel mondo globalizzato è necessario che i riformismi dialoghino e si uniscano».

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