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Prodi si arrende: modifiche al welfare

Il premier fa retromarcia: "Via libera in consiglio dei ministri, poi il Parlamento cambierà l’accordo". Montezemolo contrario

Prodi si arrende:  modifiche al welfare

Roma - Niente modifiche al protocollo sul welfare, chiede Luca di Montezemolo. Ma il governo sembra disposto a tutto, pur di evitare di saltare per aria. È lo stesso Romano Prodi a prevedere che, una volta varato il collegato che recepisce l’intesa del 23 luglio, il Parlamento lo cambierà. «Quando si firma un protocollo, bisogna andare avanti con coerenza - dice il premier in tivù -: l’approveremo il 12 in Consiglio dei ministri, poi è chiaro che il Parlamento farà la sue modifiche». È voce diffusa che saranno cambiate norme sul mercato del lavoro (i contratti a termine, lo staff leasing e altro), per accontentare l’ultrasinistra che si fa forte dei fischi di Mirafiori per attaccare l’intesa di luglio fra governo e parti sociali.

«Per la libertà d’espressione di chi lavora in fabbrica, massimo rispetto», dice Montezemolo. Ma sul protocollo, il presidente della Confindustria non fa sconti: «Andava accettato o respinto nella sua interezza. Contiene elementi a favore della competitività, ma anche conferme alla flessibilità previste dalle norme Treu e Biagi. Noi - aggiunge - l’abbiamo siglato pur essendo critici sul capitolo pensioni, ma abbiamo accettato la logica del sì o no all’intero accordo. Ora - conclude Montezemolo - il governo deve chiedere al Parlamento l’approvazione del testo sottoscritto dalle parti sociali, senza modifiche». Quanto alla Finanziaria appena varata, bene le riduzioni fiscali alle imprese, in particolare quella dell’Ires che «favorisce gli investimenti»; male i mancati tagli di spesa pubblica, sui cui la manovra è «troppo timida».

Intanto, la politica attende l’esito del referendum dell’8-10 ottobre fra i lavoratori e i pensionati: se, come pare, prevarrano in larga misura i «sì», l’ala sinistra della maggioranza avrà meno frecce al proprio arco. Ci contano sia il segretario ds Piero Fassino che il ministro del Lavoro, Cesare Damiano. «Il problema - ricorda, parlando in un’assemblea di lavoratori Wind, Guglielmo Epifani - non è se il governo cade o non cade, ma se il governo onora gli impegni e la maggioranza sostiene l’accordo in Parlamento. Se non lo fa, salta tutto; se salta tutto, non stiamo meglio». Bisogna fare in fretta, aggiunge il segretario della Cgil, «o tutto quello che abbiamo fatto non varrà niente». Proprio a partire dal superamento dello «scalone» pensionistico.

Anche il segretario cislino Raffaele Bonanni, come Epifani, è ottimista sull’esito del referendum: l’accordo sul welfare, prevede, sarà approvato dai lavoratori. «Dal clima che avverto, vedo buone indicazioni», aggiunge. La Cisl non è comunque disponibile ad alcuna marcia indietro sul protocollo del 23 luglio: si tratta di «questioni importanti, che non possono essere relegate alle decisioni di partito», spiega Bonanni. Parole ruvide per la Fiom, che chiede a Bonanni di rispettare i lavoratori di Mirafiori. Il segretario Gianni Rinaldini ricorda che emerge un «disagio profondo» dei lavoratori sulle pensioni e sulla precarietà.

Persino il segretario di Rifondazione Franco Giordano è costretto, tuttavia, a riconoscere che alla fine prevarranno i «sì» all’intesa del 23 luglio. In un dibattito tivù, a Porta a porta, Gianfranco Fini chiede a Giordano: se fossi un operaio, come voteresti? «Ho già dato un giudizio negativo sull’accordo», replica Giordano. Ma del resto, lo stesso Fini non promuove il protocollo, definendolo «una scelta ideologica, che non condivido, mentre - aggiunge il leader di An - io difendo la riforma Maroni». Tutto questo non toglie che la sinistra radicale sia impegnata a utilizzare i fischi di Mirafiori per premere sul governo, e modificare il protocollo in Parlamento. Il ministro della Solidarietà Paolo Ferrero è esplicito: se non si attua il programma, dando retta agli operai che fischiano, si va alle elezioni. Prodi, aggiunge Oliviero Diliberto, «non si tappi le orecchie».

Ma da Palazzo Chigi il sottosegretario Enrico Letta ribatte che quello di Mirafiori è «un caso sopravvalutato».

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