Politica

Prodi: «La tv mi censura». Anche quando fa flop

Paolo Brusorio

da Milano

È bene dirlo subito. Le primarie della sinistra e quella cosa ancora senza nome della destra hanno dato una bella accelerata ai tempi, siamo in campagna elettorale anticipata e qui ci rimarremo fino allo sfinimento. Come lanciare una volata a dieci chilometri dall’arrivo, da Berlusconi-Prodi in giù i duellanti sono partiti da lontano e a tavoletta senza aver alcuna intenzione di rallentare, di «abbassare i toni» come usa dire nei tg. Gli anticipi di campagna elettorale si trascinano l’inevitabile strascico bellico: programmi a parte, il primo e il più caldo è, manco a dirsi, quello dell’informazione televisiva. Romano Prodi, leader dell’Unione, ha tirato il primo gancio qualche giorno fa: «Troppo faziosa». Sono seguiti: tackle del ministro Landolfi sulle fiction («grondano comunismo»), inevitabile sollevazione parlamentare e intervento del presidente Rai Petruccioli per certificare un sostanziale equilibrio nei programmi di approfondimento politico, un apprezzabile sbilanciamento nei tg e la volontà di correggere il tiro. Ieri il Professore è ritornato alla carica scrivendo al Corriere della Sera e lamentando tra le altre cose uno scarso interesse per le sue iniziative. Ha scritto il leader dell’Unione: «Ciò che mi colpisce è una sostanziale assenza di informazione su tutte le attività che in questi mesi abbiamo avviato... fino agli incontri di questi giorni in tante piazze con platee di migliaia di persone sempre rigorosamente estromesse dalle inquadrature dedicate esclusivamente al palco e agli oratori che appaiono ai telespettatori come predicatori nel deserto».
Liberissime valutazioni personali, ma se il Professore ripensasse a uno dei suoi ultimi comizi, stapperebbe una bottiglia di lambrusco in onore di quel «malservizio televisivo». Per esempio: lunedì 19 settembre, il Tir giallo fa sosta a Torino, uno degli incontri è a Mirafiori, fuori dai cancelli Fiat, molte le tute blu e «vediamo se dice qualcosa di sinistra». Invece arriva Gianni Rivera e si parla di Milan, degli acquisti sbagliati di Berlusconi, di mancanza di coesione tra i reparti. Intendiamoci, se ce n’è uno che capisce di calcio è proprio l’ex Golden boy, ma la platea, quella platea, voleva sentirsi dire altro. Riportano le cronache: «Ha sbagliato, ci saremmo aspettati più attenzione verso la crisi industriale» (Vincenzo Chieppa dei Comunisti italiani); «È una scelta che ci ha stupito: i lavoratori vogliono sapere del loro futuro e degli impegni per Mirafiori» (Vanna Lorenzoni, segretaria Cgil). Per non dire di quei pensionati che hanno accolto il Professore al grido di «ci hai rovinato portandoci nell’Euro».
Contestazioni, critiche, fischi: inconvenienti immancabili nella ventiquattrore di ogni leader. Che non sempre «predica nel deserto». A volte anche nella tempesta.

Telecamere permettendo.

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