Il prof autistico Raoul Bova più ridicolo che commovente

Film di interesse nazionale: un marchio che equivale a una garanzia. Di stangata, nel senso di bidone. Non si sottrae alla regola, ben conosciuta dal pubblico più scafato, La fiamma sul ghiaccio, titolo metaforico di un dramma ambizioso e inconcludente, che ha penato due anni prima di trovare un (eroico) distributore. Lo ha scritto e diretto Umberto Marino, che inalbera la bandiera degli emarginati cercando di intenerire i cuori. Siamo a Torino, dove durante la consueta sosta all’Asl, la barbona disadattata (incredibile, il padre la violentava) Caterina (Donatella Finocchiaro), s’innamora a prima vista del giovane prof di matematica Fabrizio (Raoul Bova), che viaggia con la testa piegata e parla a monosillabi. Non m’importa se ha una malattia che gli vieta i sentimenti e se il fratello gli fa da oppressivo tutore. La ragazza lo tampina, lo spia dalla finestra, diventando una furia vedendolo flirtare (eufemismo) con una caritatevole squillo part time. Lui la respinge, lei non molla la presa, seguendolo anche nella lontanissima villa di campagna. Sì, forse ti voglio bene anch’io, ma è meglio dividersi. Tragedia annunciata dopo la processione per la Madonna. Se le anime semplici possono anche sciogliersi, ma è un’impresa disperata, gli altri hanno due soluzioni: o imprecano per un cinema italiano che va immancabilmente a rovistare nella desolazione o sghignazzano davanti al Raoul Bova autistico di complemento.

Nonostante gli encombiabili sforzi, come quando si arrabbia con chi arriva con «sette minuti e otto secondi di ritardo», è più ridicolo che commovente nell’involontaria (?) parodia di Dustin Rain Man Hoffman.

LA FIAMMA SUL GHIACCIO (Italia, 2004) di Umberto Marino con Raoul Bova, Donatella Finocchiaro. 102 minuti

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