Il profeta che passeggia sulle braci ogni sera fa il tutto esaurito a teatro

Trovatelo voi un altro autore che, andando a presentare i suoi libri in giro per l’Italia, riesca a far pagare ai potenziali lettori il biglietto d’ingresso a teatro, 20 euro. Roberto Re fa di più: li riempie, i teatri. Lunedì 13, all’avvio del tour che lo porterà in dieci città, alle otto di sera si contavano già più di mille persone in coda davanti al Nuovo in piazza San Babila a Milano, e siccome i posti a sedere erano 998, qualcuno è rimasto in piedi. Altre 1.000 persone la sera dopo al teatro Colosseo a Torino. Tutto esaurito la sera successiva anche al Modena di Genova. Martedì scorso all’Olimpico di Roma si sono trovati in 1.200. E tre sere fa la sala conferenze del Russott hotel di Mestre era affollata da 1.000 fans, prenotati da giorni.
È vero, ai suoi lettori Re consegna Smettila di incasinarti! (Mondadori), il suo secondo libro fresco di stampa, prezzo di copertina 15,50 euro (soldi ben spesi a giudicare dal sottotitolo: «Come rendersi la vita meno complicata ed essere felici»), ma poiché su Internet il volume si compra scontato a 13,18 euro, se ne deduce che la gente spende volentieri 6,82 euro in più, un sovrapprezzo del 52%, solo per il gusto d’incontrare lui, l’autore di Leader di te stesso, il precedente best seller che in due anni ha già venduto oltre 50.000 copie.
Che cos’avrà di tanto importante da raccontare questo giovanotto di 39 anni originario di Genova, rimasto orfano di padre all’età di 6, sposato, un figlio, studi di economia e commercio interrotti dopo otto esami dati solo per schivare la naia, una laurea in sociologia che probabilmente non arriverà mai? Bisognerebbe chiederlo ai calciatori Alessandro Del Piero, Beppe Signori e Igor Protti, agli allenatori di calcio Roberto Mancini e Gianni De Biasi, ai campioni di sci Isolde Kostner e Kristian Ghedina, all’asso del motociclismo Loris Reggiani, all’attrice Clarissa Burt, alla moglie e ai figli di Mike Bongiorno e più in generale ai circa 100.000 italiani che negli ultimi 18 anni si sono affidati a Re per ritrovare fiducia in se stessi, magari dopo un periodo sfortunato, o semplicemente per scoprire le risorse interiori che permettono di passeggiare su un tappeto di carboni ardenti, spaccare con un colpo di karate tavolette di legno spesse 2 centimetri e mezzo, piegare tondini di ferro, arrampicarsi su pali alti 12 metri e rimanere in bilico sulla sommità. O forse bisognerebbe chiederlo a Fiat, Telecom, Ibm, Nokia, Mondadori, Ina Assitalia, Pirelli, Cisco, Allianz, Sector, Philip Watch, Tecnocasa e alle altre decine di aziende grandi e piccole che chiamano Re a motivare i propri manager.
Per saperne di più si potrebbero interpellare anche Bill Clinton, Mikhail Gorbaciov, Nelson Mandela, Arnold Schwarzenegger, il generale Norman Schwarzkopf, l’attore Anthony Hopkins, il musicista jazz Quincy Jones e il tennista Andre Agassi, che si sono fatti lubrificare gli emisferi cerebrali da Anthony Robbins, il maestro di Re. Come pure Pamela Anderson, la protagonista dei telefilm Baywatch, meglio nota per altri due emisferi che si possono trattare solo con l’olio di mandorle.
Robbins è un californiano di 46 anni profeta del «self help», l’autoaiuto, ovvero la capacità di ottenere il meglio da sé e dagli altri attraverso la Pnl (programmazione neurolinguistica). Re lo conobbe nel 1995. «Teneva una lezione di un solo giorno a Rotterdam. Partii per l’Olanda con lo stesso spirito con cui sarei andato a un concerto di Frank Sinatra. Rimasi sconvolto».
Da che cosa?
«Io tenevo corsi con 30 persone al massimo, lui con 3.000. E riusciva a coinvolgerci tutti. Per cinque-sei anni andai a seguire i seminari di Robbins negli Stati Uniti. Sono diventato uno dei suoi trainer, gli ho fatto da assistente».
Ma lei come s’era avvicinato a questo mondo?
«Per caso. Sono sempre stato il classico ragazzo intelligente però svogliato. Un mio amico mi parlò di nuove metodologie per lo studio, la lettura rapida e la memorizzazione. Conobbi Giancarlo Nacinelli, detto Johnny perché aveva vissuto a lungo negli Usa, titolare della Memotec, istrionico comunicatore. Un incontro che ha cambiato la mia vita e il mio rapporto con l’apprendimento. Al primo anno di università avevo dato un solo esame, voto 18. Con le tecniche di Nacinelli ne passai cinque in una sessione, media del 28. Mi prese come istruttore. Piazzavo i corsi Memotec per telefono e a domicilio, formavo i venditori, organizzavo le presentazioni negli hotel. Arrivammo ad avere 10.000 iscritti l’anno. Lavoravo 24 ore su 24, sette giorni su sette. Tenere i corsi diventava un passatempo. Nel 1990 la Memotec si sfaldò e io fondai con due amici istruttori la Hrd Training Group».
Quanto fattura?
«Nel 2007 arriveremo a 5 milioni di euro».
Lei quanto guadagna?
«Dovrei consultare il commercialista».
Dicono tutti così.
«Credo sui 200.000 euro l’anno».
Mi spiega gratis come fanno gli uomini a incasinarsi?
«Facendo prevalere le sensazioni negative su quelle positive. Esistono dieci strategie di incasinamento».
Sono tutt’orecchi.
«1) Non vivere nel presente, guardare solo al passato e al futuro. 2) Non sapere ciò che si vuole. 3) Rimandare le decisioni. 4) Mentire a se stessi. 5) Restare confinati nella propria storia, prigionieri di una realtà immaginaria. 6) Rimanere troppo a lungo in stati depotenzianti. 7) Comunicare malamente col proprio Io, senza rendersi conto che i messaggi negativi hanno una funzione ipnotica. 8) Mantenere e rinforzare convinzioni limitanti su se stessi. 9) Avere troppe regole e troppo rigide. 10) Farsi condizionare troppo dagli altri e dall’ambiente».
Come si chiama il suo lavoro? In italiano, per favore.
«Tecnicamente sono un formatore. Il termine preciso in inglese è peak performance coach, allenatore per prestazioni migliori. Intendiamoci: lavoro con individui normali, spesso con campioni, mica con sfigati che non sanno da che parte andare».
Ha pure creato un servizio di Sms a pagamento. Ogni mattina «una pillola motivazionale per fare della tua vita un capolavoro». Ma dai!
«Sono aforismi, esortazioni d’incoraggiamento sul cellulare per iniziare bene la giornata».
«La più mediocre delle idee messa in atto ha più valore di un’intuizione geniale non trasformata in azione». Sembra l’oroscopo di Linda Wolf in onda dopo il giornale radio delle 7.30.
«In 160 caratteri che cosa vuole che dica?».
Che differenza c’è fra lei e uno psicoterapeuta?
«Non prendo persone che hanno dei problemi. Lo psicoterapeuta è un medico: va in cerca del sintomo e prescrive una cura. Io mi focalizzo sul malanno e sui punti di forza interiori per superarlo. La gente s’è rotta le balle di stare in analisi sette anni e non cavare un ragno dal buco».
Il successo personale si misura socialmente con gli avanzamenti di carriera sul lavoro. Come si conciliano carrierismo e rispetto degli altri?
«C’è ancora chi pensa di far carriera sgomitando. Sbagliato. Una squadra di 11 campioni non vince. Fa più risultati una squadra di 11 buoni giocatori. Le aziende non hanno bisogno di dirigenti che creino problemi con le loro individualità, bensì di manager che coltivino lo spirito di squadra. Un leader deve esprimere autorevolezza, non autorità».
Dalla sua esperienza, com’è la vita nei luoghi di lavoro?
«Nelle aziende commerciali è più facile, perché ci sono precisi obiettivi di fatturato da conseguire. Diverso è il caso di un ministero romano. Come fai a motivare dipendenti frustrati che tutte le mattine entrano nello stesso ufficio da 30 anni per dar aria alle carte? Oggi gli impiegati vogliono contare».
La parcellizzazione del potere. Tutti pontefici, nessuno che voglia fare il curato di montagna.
«Io direi: nessuno che voglia fare il Fantozzi».
Soluzioni?
«Valorizzare i ruoli specifici. Un bravo fattorino è importantissimo. Un capo che gli chiede notizie della moglie o dei figli sarà benvoluto. Sono i rapporti umani a fare la differenza nei luoghi di lavoro. Per cui cominciamo a trattare gli altri come vorremmo essere trattati noi».
Mi ricorda il Vangelo.
«Infatti è un libro che vende molto, ha successo da duemila anni. Tanti testi motivazionali traggono spunto dagli ammaestramenti di Gesù Cristo. Io mi limito a insegnare cose ovvie. Che tutti sanno ma che nessuno mette in pratica».
Quali veleni intossicano maggiormente gli uffici?
«I rancori e la paura del giudizio altrui».
«La colleganza è odio vigilante», mi ha detto una volta Enzo Biagi.
«Una visione un po’ negativa».
Non è così?
«Culturalmente siamo condizionati fin dalla nascita a concentrarci sugli aspetti negativi delle persone, più che su quelli positivi. Presi in mano la Reggiana del centravanti Igor Protti. Una squadra allo sbando, con i giocatori divisi in gruppetti a farsi la guerra. Li costrinsi a un esercizio banale: a due a due, in coppia, sforzarsi di trovare cinque cose che avevano in comune, a cominciare magari dalla passione per le auto sportive. Poi misi insieme i due con altri due. Stesso esercizio. Poi quattro con quattro. E così via. Gli dimostrai che s’impiega molto più tempo a trovare punti di contatto in due che in 11. Gli 11 scoprono subito gli elementi che tengono unita la squadra: vestono un’unica maglia, si fanno il mazzo per lo stesso risultato, vincono insieme, perdono insieme. Spesso i gruppi perdono di vista qual è l’obiettivo comune: stare insieme, appunto».
L’hanno definita «santone».
«Rifiuto l’etichetta. Mi disturba molto. Il guru offre verità. Il mio lavoro è l’esatto opposto: portare le persone a rispondersi da sole».
Che differenza c’è fra lei è Ron Hubbard, fondatore di Scientology, la «religione del XX secolo»?
«È un parallelo che non sta in piedi, fuori dal mondo. Hubbard dice cose intelligenti, ma i suoi seguaci ci hanno costruito sopra una chiesa che crea uno stato di dipendenza negli adepti».
Scientology afferma che «l’uomo è un essere spirituale dotato di capacità che vanno ben oltre quelle che egli considera di avere». Potrebbe averlo scritto lei.
«Sì, certo, e anche Budda o un rabbino. Ma se uno seguisse i miei corsi a vita, come capita con Scientology, significherebbe che ho sbagliato tutto».
Eppure è stato presentato ora come «allenatore dell’anima», ora come «allenatore dello spirito», ora come «angelo custode».
«Definizioni giornalistiche. Non mi ci riconosco».
Non crede di svolgere il lavoro di direzione spirituale che in passato era affidato ai preti?
«Questo è un altro discorso. Può darsi. Ma non faccio proselitismo».
Lei ha mai avuto un life coach, l’allenatore dell’anima?
«Ho tre persone con cui mi confronto regolarmente».
Ha affidato a don Antonio Mazzi la prefazione di Smettila di incasinarti! Imperativo o esortativo? Riferito a don Mazzi, intendo.
«Don Mazzi si definisce un casinista. Pensa che lo stesso Padreterno, nel momento in cui ha estratto la costola ad Adamo per creare Eva, abbia combinato un bel casino».
Una visione teologica fuori dalla mia portata.
«A 76 anni don Antonio ha una vitalità che noi ce la sogniamo. Aiuto Exodus, la sua comunità di recupero dei tossicodipendenti, e ogni anno ci tengo un corso gratis».
Perché fa camminare le persone a piedi nudi sui carboni ardenti?
«È l’esercizio più inutile che esista al mondo. Non vengono ai miei corsi per imparare questo».
Allora perché glielo fa fare?
«Davanti a un tappeto di braci infuocate lungo sei metri il nostro cervello si rifiuta d’ordinare alle gambe di procedere. Siamo tutti condizionati dall’esperienza di un dito scottato dal fornello. È lo stesso terrore di non farcela che ci prende al momento di parlare in pubblico. Chi è lucido, può gestire tutte le paure».
Senza danni?
«Se a metà della passeggiata guardi le braci e ti dici “accidenti, è proprio vero, non mi sto bruciando”, è la volta che rimedi qualche vescica».
Ma come mai, di norma, a camminare sui carboni ardenti non ci si scotta?
«Non è vero che non ci si scotta, Giucas Casella s’è braciolato i piedi per battere un record. Il fenomeno ha una spiegazione scientifica: nonostante i 900 gradi di temperatura, la brace non è un buon conduttore di calore. Il resto dipende dalla concentrazione mentale».
Che senso ha far arrampicare i suoi discepoli su un palo di 12 metri?
«Quello sarebbe niente. Il difficile è reggersi in piedi sulla pedana che ci sta sopra, 40 centimetri di diametro. A terra lo saprebbero fare tutti, a 12 metri dal suolo, pur con l’imbragatura di sicurezza, soltanto chi ha fiducia in sé».
E fargli rompere una tavoletta di legno col dorso della mano?
«Ci riescono senza danno anche un bimbo o un vecchio, basta che siano determinati e non rallentino la corsa della mano per paura di farsi del male. Queste esperienze rimangono dentro per sempre e tornano alla mente nel momento del bisogno. Beppe Signori voleva lasciare la Lazio e ritirarsi. “Mi sono reso conto che potevo ritornare il campione di sempre dopo aver camminato sulle braci”, mi ha confessato. Igor Protti quando era capocannoniere in serie A tirava senza nemmeno guardare il portiere, tirava e basta, convinto di sfondare la rete. Poi perse la fiducia in sé stesso e cominciò a sorvegliare la traiettoria del pallone. Non segnava più. Con me è tornato capocannoniere della B, ha portato il Livorno in A».
Che altro potrebbe fare un individuo motivato?
«Sento dire: “Se ci credi, puoi fare tutto”. Cazzata. Però è vero il contrario: se non ci credi, non puoi fare nulla. Le nostre convinzioni soddisfano un bisogno fondamentale dell’uomo: ci danno sicurezza. Per questo stentiamo a cambiare opinione. Henry Ford, il magnate dell’auto, diceva: “Che tu creda di farcela o di non farcela, avrai comunque ragione”».
Non teme d’aver allevato mostri? C’è un suo concorrente barese, Max Formisano, che tiene corsi di autostima per insegnare ai manager a non essere noci ma albicocche, duri dentro e morbidi fuori. Glielo fa anche urlare: «Vuoi essere albicocca?». E loro in coro: «Sììì!».
«Mi dicono che sia bravo, ma non è mio allievo. Io non mi occupo di macedonia».
Ha idea di chi possa essere l’allenatore personale di Silvio Berlusconi?
«Silvio Berlusconi».
Ritiene che Silvio Sircana, portavoce di Romano Prodi, sia un valido emotional coach per il premier?
«A vederlo in Tv non mi dà quest’impressione».
Ecco, mettiamo che lei avesse l’aspetto transilvanico di Sircana. Pensa che riuscirebbe lo stesso a riempire i teatri?
«Siamo istintivamente portati a simpatizzare per le persone belle».
Dunque, quanto conta il fisico per riuscire nella vita?
«Conta al 100 per cento solo per le modelle e le interpreti di film porno. Ha zero importanza rispetto al feeling, alla capacità d’incuriosire. Infatti il più brutto può conquistare la più bella».
Feeling, coach, team... Deve per forza parlare in inglese?
«Fa figo. Se dico “seminario di una sera”, non viene nessuno. Se dico “one night seminar”, faccio il pienone. Solo in Italia, però. In Spagna, dove chiamano ratón il mouse e ordenador il computer, no».
Lei ha dichiarato all’Ansa: «Se ti aspetta Sharon Stone alle 5 del mattino ti alzi, altro che pigrizia!». Non so lei, ma Sharon Stone di sicuro non aspetta me. Ciò nonostante spesso sono in piedi alle 5. Mi sfugge l’eroicità dell’atto.
«Ho spiegato al cronista come siano gli obiettivi motivanti a eliminare la pigrizia».


Non pensa ai pensionati? Anche loro hanno bisogno di motivazioni per alzarsi dal letto la mattina.
«Zappettare l’orto può diventare una motivazione più che sufficiente. Non bisogna credere che solo la gente di successo stia bene con se stessa, anzi!».
(354. Continua)
stefano.lorenzetto@ilgiornale.it

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