«Progettare l’esistente»: se l’architettura è discreta

Progettare l’esistente, ovvero trasformare ciò che c’è già per reinserirlo nel tessuto urbano, nel contesto architettonico e funzionale richiesto. Senza grossi impatti ambientali, senza distruggere per creare di nuovo. Nel workshop Haworth Creative Center di piazza Marconi all’Eur è stata presentata ieri la giornata di «Progettare l’esistente, le responsabilità dell’architettura nella valorizzazione del patrimonio culturale italiano» in programma venerdì 25 maggio all’Università di Perugia.
Un’intera giornata per visionare, studiare, scegliere venti tra cinquanta progetti già realizzati da altrettanti studi di architetti in Italia, da prendere come esempio per una ristrutturazione e trasformazione dell’esistente. «Dieci di questi - spiega il professor Giovanni Leoni, ordinario d’architettura a Bologna e direttore della rivista D’Architettura - verranno pubblicati nel primo numero del nostro quadrimestrale in uscita nel 2008. È un modo, uno spunto, per rilanciare un messaggio che nel nostro Paese viene spesso sottovalutato, se non ignorato. Vale a dire quello per cui è anche e soprattutto l’architettura delle piccole cose, degli interventi non eclatanti, a determinare l’insieme architettonico e urbanistico, nonché la qualità di vita in una città, così come all’interno di una comunità o di un’azienda. Ecco perché è nata l’idea di promuovere questa giornata a Perugia per coinvolgere studenti e quindi futuri architetti».
Tra le opere in pole, il restauro di Villa Micheli a Ceccano, in provincia di Frosinone, ma anche la piazza del Tribunale di Bolzano o il giardino di Artemide di Ortigia, a Siracusa. A sostenere l’iniziativa, in primis, l’Associazione italiana di Architettura: «L’intento - spiegano - è quello di puntare a un approccio ecologico dell’utilizzo del territorio urbano con l’obiettivo di risparmiare suolo, concentrare le attività, diminuire traffico e inquinamento, migliorare l’abitabilità del costruito.

Per questo prima di procedere all’ampliamento dei margini costruiti della città è necessario considerare la possibilità di recuperare edifici o aree già edificate, magari abbandonate o dismesse. Tutto nell’ottica anche della salvaguardia delle risorse disponibili».

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