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"Promessa mantenuta". Onna torna a vivere a 168 giorni dal sisma

Berlusconi consegna le chiavi alle prime 94 famiglie: "Ora si può guardare avanti con speranza e serenità"

"Promessa mantenuta". Onna torna a vivere a 168 giorni dal sisma

È il giorno di Giulia che aveva 22 anni. Giulia Carnevale che voleva essere un ingegnere e costruire case. Nella sua macchina la mamma ha trovato il suo computer. Dentro c’erano decine di disegni, planimetrie, calcoli. Giulia non c’è più. Ma c’è l’asilo che lei aveva disegnato. È la sua opera. E non importa se lontano da qui, da Onna che apre le case nuove, il paese dei 41 morti la notte del 6 aprile, si litiga in televisione, si lotta sui palinsesti, ci si accusa, si grida. Qui a Onna tutto questo arriva come un sasso lanciato nell’acqua per chi è immerso in profondità. Un’eco che quasi non sfiora. A Onna è il giorno di Giulia morta nel terremoto ma viva in quello che ha lasciato. Del suo asilo per quaranta bambini che sembra un’astronave di legno. È il giorno della consegna delle case nuove. Il villaggio è pronto. Da sabato tutti i trecento abitanti potranno abitarlo. Novantaquattro case di legno nelle tonalità dei colori pastello. Il contratto è un comodato firmato da tutte le famiglie. Si va via dalle tende. Si torna a dormire in una casa. Si cucina sui fornelli, si guarda la televisione in famiglia. Ognuno ha il suo dolore, 41 morti su 310 abitanti significa che uno su sette non ce l’ha fatta. Accanto all’«albero della memoria» sotto cui erano stati poggiati uno accanto all’altro i corpi senza vita nell’alba del terremoto, adesso c’è la lapide in ricordo. Qui a Onna ora nessuno si lamenta, non esistono rancori nei confronti di chi ha costruito tutto: provincia autonoma di Trento, Croce Rossa, Protezione Civile, governo. Silvio Berlusconi scende dalla macchina e per lui è l’applauso. Poi iniziano alcune proteste, ma sono isolate, di un piccolo gruppo di Tempera. Anche loro vogliono le case. «Ma qui ci sono stati 41 morti!», grida un’onnese, esasperata. Per tutti arriveranno, le case, ma a Onna gli oltre 5 milioni di euro della Croce Rossa, con l’operosità dei trentini e la supervisione della Protezione Civile, hanno reso tutto più veloce.
C’è poi il contrario della piccola protesta di Tempera: «Silvio, sei un Dio!», si sente gridare. Ma l’impressione forte è che qui non c’è la politica, qui l’importante «sono i fatti - ci spiega Bruno, abitante di Onna, in tenda da cinque mesi - e delle parole non ci interessa niente. Noi i fatti li abbiamo visti. Cos’altro possiamo a dire a quelli che lavorano se non bravi? Noi li vediamo, qui a Onna, a Bazzano, non smettono mai, di scavare, di costruire, come si può fare di più? E io non sono un berlusconiano, io sono solo un libero cittadino».
Adesso ad Onna bisogna solo «guardare avanti», dice il premier alla coppia di coniugi a cui consegna le prime chiavi simboliche della loro casetta nuova di legno, Alessandra Giancola e Andrea Vecchio: «Promessa mantenuta. Consegno a lei la chiave - sono le parole di Berlusconi - con l’augurio che questo sia un nido d’amore per una nuova vita e per guardare avanti. Qui avete tutto quello che potrà servirvi per crescere i vostri figli, speriamo per poco, finché non sarà ricostruita Onna». Ora si può fare solo questo, è un dovere: «Guardate al futuro».
Un uomo di circa cinquant’anni, Giuseppe Mancini, s’inventa una piroetta da Benigni e abbracciando il premier lo solleva da terra: «Grande presidente, grazie per quello che ha fatto credendo nella ricostruzione». Poi si svela: «Sono cinquanta anni che lotto contro il comunismo!». Ma qui a Onna l’entusiasmo strano di questa giornata, e di cui quasi ci si sente un po’ in colpa, non c’entra con gli schieramenti, le bandiere. Forse si chiama davvero speranza. Il messaggio del vescovo dell’Aquila, Giuseppe Molinari, sembra una freccia al cuore di chi vuole a tutti i costi vedere il bicchiere mezzo vuoto e non aiuta queste persone: «Alla gente d’Abruzzo - avverte il vescovo - non interessano le chiacchiere sterili della politica, ma il lavoro, una giustizia che funzioni, una più equa redistribuzione delle ricchezze, uno Stato che funzioni. Siamo stanchi di una politica di discussioni e di odio, che nulla ha a che fare con la democrazia». E nemmeno con il dolore, né con il tentativo di superarlo.
Su una panchina di fronte all’asilo c’è una copia del Giornale di ieri. Molti omnesi si fermano a leggere il titolo: «La sinistra sfotte i terremotati». Fulvio Turavani di Fagnano Alto, paesino sopra L’Aquila, s’infervora: «Ma come possono negare la realtà? Io non sono schierato politicamente, ma perché quelli che parlano a sinistra contro la ricostruzione, e anche la presidentessa della provincia Pezzopane, non dicono di tutte le case e dei monumenti puntellati, dei palazzi in costruzione? È strumentalizzazione». C’è una donna anziana con una bambina sui tre anni sulle ginocchia. «Io oggi sono felice - spiega - anche se non ho più un figlio vicino». Poi piange, non può dire di più. Gli psicologi raccontano che il momento più difficile potrebbe essere proprio adesso, perché con il rientro nelle case si perde quella condivisione, anche faticosa, della tendopoli, che aiutava a pensare di meno.

Quello che succede a Roma, le critiche e i bisticci, è comunque tutto molto lontano da qui.
EFo

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