Laura Cesaretti
da Roma
Allindomani della marcia trionfale prodiana alle primarie, sul campo di battaglia dellUnione si contano vincitori e sconfitti. E dal bagno di folla che ha incoronato Romano Prodi sono soprattutto due i protagonisti che escono indeboliti: il primo è Fausto Bertinotti, che non ha sfondato il muro a sinistra rubando al Professore i voti dei diessini inquieti e che ora dovrà accettare la «regola di maggioranza» che il leader ha già preannunciato, sul programma e sul governo. Il secondo è Francesco Rutelli.
Il presidente della Margherita è rimasto chiuso in conclave con i suoi per tutto il pomeriggio di ieri, dopo il vertice dei segretari di centrosinistra che è servito solo a celebrare il grande successo dimmagine delle primarie. Sul tavolo, due alternative che ha davanti: dire no alla risurrezione dellUlivo chiesta da Prodi, scatenando un terremoto nel partito e subendo le conseguenze di essere quello che rifiuta lunità. Con lo spauracchio di una lista Prodi che resta sullo sfondo, perché il Professore assicura di non volerla ma avverte anche che la «necessità» potrebbe fargli cambiare idea, «e noi ne usciremmo massacrati, molto più dei ds», dicono i rutelliani. Oppure dirgli di sì, e finire in un calderone ulivista capeggiato da Prodi ed egemonizzato dai ds nel quale «un partito giovane e ancora poco strutturato come noi finirebbe triturato». Rutelli prova ad uscire dallangolo: oggi nellesecutivo dl proporrà di dare via libera al listone ulivista «in una delle due Camere», aprendo quindi allipotesi Montecitorio e non asserragliandosi più sulla sola frontiera del Senato. Ma con la clausola che la lista deve essere «la prima tappa del Partito democratico», quindi di un complesso cammino che deve rimettere in discussione tutto, «a cominciare dalle collocazioni internazionali: i ds, per intenderci, dovranno uscire dallInternazionale socialista».
Rutelli ha ben chiaro il fatto che attorno a lui si sta stringendo una tenaglia, esterna (Prodi e i ds, fermamente intenzionati a lasciare per ora il cerino in mano a Rutelli, nella speranza che lo spenga) ed interna: i parisiani, ovviamente, che con un documento già chiedono di «andare subito oltre la Margherita». Ma anche quellarea mediana (Castagnetti, Letta, Bindi) che non si schierò a maggio nella scelta di andare con una propria lista alle politiche e persino pezzi della sua maggioranza, come Dario Franceschini. La ragione la spiega il capogruppo Castagnetti: «Le cose non possono restare come prima, il paesaggio politico non è più lo stesso di cinque mesi fa. C'è una nuova legge elettorale proporzionale, c'è la normalizzazione berlusconiana a destra e c'è un'investitura popolare di proporzioni enormi della leadership di Romano Prodi». Dunque, osserva Castagnetti, che a Rutelli suggerisce sostanzialmente di fare lui la prima mossa e aprire al «nuovo Ulivo», occorre «disporsi con intelligenza e generosità a mettere in discussione le precedenti decisioni per ripartire verso scelte concordate con il capo della coalizione».
Cosa voglia il capo della coalizione è chiaro: il ritorno dellUlivo, anche sulle schede elettorali della Camera perché «il premier deve essere eletto a Montecitorio», e nei gruppi parlamentari. Un Ulivo a due gambe, stavolta: Ds e Margherita. Con una probabile iniezione di Di Pietro e Repubblicani europei della Sbarbati, che da soli non possono superare il quorum del 2%. Lo Sdi ha già spiegato a Prodi che deve portare avanti il suo disegno di riunificazione socialista e intesa con i radicali.
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