
Chiunque ha sperimentato la sensazione: vivere senza telefonino, ormai, è impossibile. Lo smartphone è più che uno strumento: è, spesso, la nostra bussola indispensabile per orientarci nel mondo, e non parliamo solo di gps... Parliamo di relazioni con le altre persone, di amicizie, di gusti, del modo in cui passiamo il tempo e in cui ci informiamo, di mondi virtuali, comunità on line, chat, video, messaggini, post, e di possibilità infinite di conoscenze e di abilità, grazie all'Intelligenza artificiale. Tutto questo vale per gli adulti e vale, all'ennesima potenza, per bambini e ragazzi: una «rivoluzione silenziosa nel nostro modo di essere al mondo» che ha trasformato il «campo della comunicazione e delle conoscenze tra gli esseri umani», come scrive Franco De Masi nel suo saggio No smartphone, edito da Piemme (pagg. 176, euro 18,90).
L'obiettivo di De Masi è esplicitato nel sottotitolo: «Come proteggere la mente dei bambini e degli adolescenti». Da psicanalista, De Masi si è trovato a incontrare giovani pazienti con danni gravi, derivanti da un uso eccessivo del cellulare, un uso comparabile a una dipendenza. «Giovani isolati e senza una sofferenza apparente - spiega - che avevano finito per trascurare non solo le relazioni necessarie alla vita ma anche l'idea del loro futuro, condannati com'erano a un'esistenza fatta di istanti che si succedevano, priva di prospettive e di scopi. Sono giovani che si sono letteralmente ritirati nello schermo e si sono immersi in una realtà dissociata dalla vita vera e dalle relazioni con i compagni o con la famiglia». Non c'è solo il pericolo, peraltro da non sottovalutare, della distrazione e dei brutti voti a scuola: «La mente dei giovani rischia di essere depositata nello smartphone». E anche il cuore, gli occhi, le mani... Per questo De Masi cerca di offrire a genitori e adulti di riferimento una guida di fronte all'utilizzo, spesso smodato, di un mezzo di cui non possiamo più fare a meno. Il problema, per madri e padri, è anche questo: vietare del tutto lo smartphone è impossibile, perché escluderebbe i figli dalla cerchia degli amici e dal mondo in cui sono immersi.
Qualche governo, come quello australiano, è corso ai ripari vietando i social ai minori di 16 anni. Ma, come sempre, le leggi non bastano. Sta agli adulti, in primo luogo, capire che cosa accada al cervello dei nostri ragazzi con le nuove tecnologie e aiutarli a crescere.