Prove di guerra nell’era globale

A Perché è scoppiata la guerra del gas tra Russia e Ucraina?
Secondo diversi commentatori, la richiesta della Gazprom alle autorità ucraine, chiaramente autorizzata dal presidente russo Vladimir Putin, di portare il prezzo del gas da 50 a 220-230 dollari 1.000 metri cubi, ha una natura politica: si tratta di una «punizione» all'Ucraina per avere scelto, dopo l'annullamento della prima votazione, un presidente filo-occidentale. Più in generale, Putin vorrebbe ricreare l'area di influenza dell'Urss, inducendo le ex Repubbliche sovietiche a tornare sotto l'egida del Cremino.
B Come ha reagito l'Europa?
L'Unione europea importa dalla Russia il 24% del gas che consuma e avrebbe difficoltà a sostituirlo rapidamente anche perché la domanda mondiale di energia è molto alta, sostenuta soprattutto da Cina e India. Nella minaccia di tagli alle forniture energetiche la Ue vede in prospettiva il pericolo di un ricatto politico generale.
C Che cosa ha deciso l'Europa?
Per domani 4 gennaio è stata convocata dalla Commissione una riunione di tecnici, il «Gruppo di coordinamento del gas». Ma la Ue non ha messo in piedi una strategia lungimirante in tema di sicurezza energetica. È caduta nel vuoto la recente proposta di Silvio Berlusconi di affrontare in ambito europeo un'eventuale ripresa della costruzione di centrali nucleari. Così l'Europa rischia di affrontare una crisi del gas dopo quella del petrolio del 1973 anche se le autorità russe hanno ieri assicurato di volere aumentare la quantità di gas immesso in direzione dell'Europa. Resta l'impressione che, se questa volta si è trattato di uno scherzo, in futuro una tale situazione potrebbe diventare seria. Ma, in realtà, l'Europa ha misurato l'ampiezza della propria impotenza.
D Di che tipo sono le risposte?
Essenzialmente di carattere nazionale. Ne è un esempio tipico l'accordo concluso ai primi di settembre tra il cancelliere Gerhard Schröder e Putin per la costituzione di un consorzio per la costruzione, entro il 2010, di un gasdotto lungo 1.200 chilometri, che passando attraverso il Mar Baltico «salterà» la Polonia e i Paesi Baltici, i quali verranno a perdere le royalties che percepiscono.
E Che cosa significa, più in generale, questa crisi del gas?
Forse è la prima vera guerra della globalizzazione. Non combattuta né con le ideologie né con i missili ma con gli strumenti dell'economia. Ma gli obiettivi restano sempre gli stessi: aumentare la propria forza contrattuale ed estendere la propria area di influenza. La globalizzazione sembrava dovere annullare il ruolo degli Stati e dei governi. Invece la politica, quando si dota di progetti strategici e seleziona i propri campi di intervento, dimostra di sapersi servire dell'economia come un tempo della diplomazia e della forza militare.
F Quali sono gli obiettivi strategici di Putin?
Con una popolazione a crescita zero e ridotta a meno di 150 milioni di abitanti, la Russia difficilmente diventerà in tempi brevi una potenza industriale e commerciale. Tanto vale, allora, secondo Putin, sfruttare il suo punto di forza di fornitore di energia all'Ovest (Europa anzitutto) e all'Est (Cina, Giappone, India), e contrattare con l'altro polo energetico mondiale - il Medio Oriente - una specie di super-cartello dalle potenzialità finanziarie enormi e quindi in grado di influire sulla politica internazionale. Mosca aspira così a diventare la capitale mondiale dell'energia con cui tutti devono fare i conti. E, senza dubbio, il gas (di cui la Russia è il primo esportatore mondiale e possiede quasi un terzo delle riserve globali) e il petrolio (di cui la Russia è il secondo esportatore dopo l'Arabia Saudita, dove pure abbondano le riserve di gas naturale) sono più convincenti dell'ideologia o delle forze militari, alle quali ultime, tuttavia, Putin dedica attenzioni crescenti.
G Come si concilia questa guerra con la globalizzazione?
Tutto questo sta avvenendo nel segno di una globalizzazione sempre più «nazionale», che sembra una contraddizione in termini, ma che non è priva di una sua logica né di conferme empiriche. Basti pensare che il Paese che per primo si è globalizzato, il Giappone, ha sempre sottolineato il profilo nazionale della sua espansione economica, e a quelli che stanno approfittando delle caratteristiche di questa nuova fase storica, come la Cina e l'India, nonché la Germania. Il nuovo cancelliere, Angela Merkel, non ha smentito il patto Schröder-Putin, limitandosi a criticare la nomina, ben retribuita, del suo predecessore alla presidenza del Consiglio di sorveglianza del consorzio tra la Gazprom e le tedesche Basf e E.On. Tuttavia Putin, per tranquillizzare l'opinione pubblica mondiale, ha annunziato il via libera all'apertura del capitale di Gazprom ai grandi investitori internazionali, che potranno però acquistare fino al 40% del gruppo mentre il 51% resterà nelle mani dello Stato.
H Si delinea una nuova geopolitica?
Siamo quindi di fronte a un rimescolamento della carta geopolitica che vede crescere grandi attori economici ma con alle spalle strategie di gruppi politici dirigenti che guardano lontano. Rischiano ovviamente di essere penalizzati i Paesi che non dispongono di consistenti risorse energetiche naturali e ai quali restano due strade complementari: la diversificazione degli approvvigionamenti, con la convergenza di accordi commerciali, di esplorazione, di produzione e trasformazione, e l'attivazione di risorse rinnovabili, prima tra tutte il nucleare.
I Qual è la posizione dell'Italia
L'Italia ha puntato più sulla privatizzazione e la concorrenza (con scarsi risultati a livello di prezzi al consumo), che non su un'accelerazione della capacità produttiva, tanto è vero che è ancora un forte importatore netto. Tuttavia ha una buona diversificazione delle sue fonti di approvvigionamento: il gas, importato per circa l'85% del fabbisogno, arriva, oltre che dalla Russia, dai Paesi Bassi, dalla Norvegia, dall'Algeria e, dall'ottobre 2004, anche dalla Libia. Ma è evidente che deve pagarlo con le sue esportazioni di qualità e a crescente valore aggiunto tecnologico.


J Che cosa insegna questa vicenda?
La globalizzazione, attraverso lo specifico filtro dell'energia, insegna parecchie cose: che la politica nazionale non può prescindere da una visione nazionale dell'economia nelle sue componenti strategiche di investimenti a lungo termine, per cui non basta dire «facciamo sistema»; che i rapporti politici ed economici internazionali sono sempre più stretti e interdipendenti e si avvalgono anche di relazioni personali; che gli scambi avvengono a livelli sempre più alti e senza riguardi; che l'Unione europea, nel settore chiave dell'energia, non ha elaborato una posizione comune efficace e lungimirante. Per cui la denuncia delle pulsioni autoritarie e neo-imperiali di Vladimir Putin non aumenta l’autonomia energetica.

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