Il pubblico applaude le grandi voci Un trionfo per le dive

Dati i tempi, si richiedeva austerità anche per quello che è il trionfo della mondanità: la Prima della Scala. E austerità fu. Pochi luccichii e bizzarrie cromatiche. Morigeratezza anche nei gioielli. Sicché per la legge del contrappasso, il godereccio Don Giovanni ieri sera ha avuto un pubblico dalle mise sobrie: meno eclatanti del solito. O meglio, delle solite prime scaligere. In questo mare di rigore e - diciamo così - di «adultità» addomesticata da botox e affini, spiccava per contrasto la giovane ed elegante Giovanna Salza, moglie di Corrado Passera, avvolta in abito blu e azzurro. Eppure in scena c’era un Don Giovanni tutto fuoco: per colori (dicasi rosso Scala) e scelte registiche (di Robert Carsen), inusuali ed estrose. Piaciuto? Durante il primo atto non è che venga giù il teatro per la forza degli applausi, ma poi, nel foyer, è tutto uno sciorinare lodi e panegirici che - chissà - forse annoierebbero quel mascalzone di un Don Giovanni. La prima a promuovere a pieni voti la regia è Barbara Berlusconi accompagnata dall’inseparabile Pato. «Trovo la regia interessante perché vuole parlare al pubblico contemporaneo. Ci sono gesti forti, quindi può non piacere, ma non è questo il punto. I cantanti, poi, sono eccellenti». Il meglio? «Anna Netrebko, ha reso un’appassionante Donna Anna», chiude Barbara Berlusconi.
Ecco Erwin Schrott, Don Giovanni nell’ultima produzione, che tenta di mimetizzarsi nella calca della prima scaligera e va dritto in camerino, dalla compagna: la diva Netrebko, «è stata bravissima», dice. Nel foyer s’aggira un bel comparto-giornalisti, capitanato - anagraficamente parlando - da Eugenio Scalfari, c’è Vittorio Feltri, Maria Latella, Gad Lerner che - polemico - sferra subito un «so che non ha tutti piace questa regia: io la trovo superba». In realtà, fra le poche note fuori dal coro, c’è quella di Saverio Borrelli che addirittura bolla questo Don Giovanni «spettacolo d’un finto moderno, non restituisce la forza dell’opera. Musicalmente è bello, però». Gli spettatori commentano la regia o le prodezze delle ugole, particolarmente applaudite quelle femminili. Il finanziere Francesco Micheli va oltre e osserva che «la direzione di Daniel Barenboim è lenta ma così l’opera acquista in drammaticità. Poi è bellissima l’idea di far suonare tre orchestre nel finale del primo atto. Fatta così bene, qui alla Scala, la ricordo solo con Riccardo Muti. I cantanti sono eccezionali, Carsen li fa muovere in modo intelligente in questa scena scarna ma efficace. È una prima sobria ma festosa». Bruno Ermolli già all’inizio dello spettacolo parla di una Prima «lieta che capita in un momento particolare, in una fase in cui abbiamo necessità di un salto d’orgoglio». A serata consumata chiude con: «Se ultime dodici prime erano fantastiche, questa lo è di più. Ci aiuta a tirar su la testa».
A proposito di eccellenze, nel foyer senti una scarica di flash. Ecco il ballerino Roberto Bolle, «amo l’opera, e in particolare Don Giovanni», dice. Non lo ammette, ma con tutto rispetto per Mozart: s’è divertito di più con Fiorello, lunedì al suo spettacolo. «Spero di lavorare con lui di nuovo, è stato un bravissimo ballerino. Sollevarlo, poi, è stato semplicissimo: era una piuma». Nell’unico (ahimè: mondanità compressa) intervallo, si aggirano le varie dame e damazze, le/gli immancabili della Prima milanese, Arturo Artom e consorte, Valeria Marini, Caterina Balivo, Diana Bracco, Daniela Javarone, Gabriella Dompé, Umberto Veronesi. Si contano i politici della vecchia leva, come Ugo La Malfa, e ancora meno d’ultima generazione, il sindaco di Pavia Alessandro Cattaneo.
L’idillio si guasta un poco alla fine. Più di dieci minuti di applausi, promossi i cantanti: però qualche dissenso per Carsen, e fischio - piuttosto disinibito - per Barenboim. Che è un po’ nervosetto nel retropalco, giornalisti chiedono di incontrarlo, ma slancia le braccia in alto e va in camerino. Poi esce, raggiunge la squadra di lavoro che brinda con Bellavista, e dichiara amore per Milano: «Mi piace lo spirito di questa città». Ma che dire dei dissensi e di chi, dal loggione, dove alla fine c’è baruffa...

si dibatte animatamente l’esito dello spettacolo, gridava «troppo lento!». «Ognuno ha il diritto di esprimere la propria opinione, però è inutile venire a teatro per gridare» chiosa. Carsen è più morbido: «Impossibile che uno spettacolo così piaccia a tutti. Fischi? Non li ho sentiti».

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