Ivan Bogdanov, colpevole. Tre anni e tre mesi di condanna. Micola Klicovic, colpevole: tre anni. Daniel Janjic, due anni e otto mesi; Srdan Jovetic, due anni e sei mesi. Tutti condannati per i fatti di Genova. Si intende la partita di football tra Italia e Serbia, sera del 12 ottobre scorso, incidenti fuori e dentro lo stadio Luigi Ferraris, proprio di fianco al carcere di Marassi, luogo di ritiro, poco spirituale, di molti sodali del teppista serbo capopopolo: Ivan, quello enorme, quello che il bengala acceso e fumante tenuto in pugno come la statua della libertà, quello con mille tatuaggi lungo le braccia, quello con la maglietta nera con il teschio, quello con il passamontagna a coprirgli la crapa e il volto, quello che distrusse mezza curva, sfidò la polizia, incitò alla rivolta, tranciò con un tronchese la rete di recinzione, tentò la fuga, si nascose nel vano bagagli dell'autobus che lo avrebbe riportato in Patria, come tutti i combattenti vigliacchi, prima tigri affamate e poi topi miserabili.
Mezz’ora di camera di consiglio, e le richieste del piemme Cristina Camaiori sono state accolte in toto: il gup Annalisa Giacalone non ha dovuto riflettere a lungo, tre anni e tre mesi, con attenuanti generiche. Si potrebbe dire, scherzando, che il gentiluomo serbo potrà tornare in campo per i mondiali del 2014. Si è pentito, come sempre; sua madre lo ha perdonato, stupita perché mai avrebbe immaginato di avere partorito un animale capace di tanto, anzi convinta di avere cresciuto un pupazzo di Disneyland.
Ma la questione è un'altra. La sanzione è giusta, severa, non dico esemplare perché la condanna deve essere figlia del codice e non deve dare esempi. Tuttavia crea, almeno me lo auguro, un buon precedente a livello giuridico. I disordini all'interno e all'esterno di uno stadio di calcio, filmati, teletrasmessi in diretta, spediti agli organi disciplinari della giustizia sportiva europea, portano a sanzioni ben più severe di quelle che hanno colpito altri teppisti che a Genova si erano distinti per assalti, incendi, aggressioni, manifestazioni proibite, cortei non autorizzati, lanci di molotov e oggetti pericolosi, feriti. Insomma, il repertorio che macchia le piazze nei vari raduni, tra un no global e un black bloc. Costoro, nelle loro truppe, hanno più di un Ivan il terribile, sono organizzati, si preparano, studiano ma, nonostante le immagini filmate, della polizia, dei carabinieri e le riprese delle varie emittenti televisive, alla fine se la cavano tutti, non finiscono in prima pagina, nemmeno al gabbio, eventualmente escono ancor prima di entrare, non vengono considerati hooligans, passano dalla cronaca alla storia, trovano fiancheggiatori, solidarietà, comprensione, risultano martiri, vittime del sistema repressivo, godono del passaggio televisivo per illustrare il loro pensiero, la loro propaganda.
Ivan Bogdanov e la sua ciurma no, devono andare in galera perché il calcio è sacro, perché il pubblico di uno stadio va rispettato, e loro, i serbi, hanno violato il tempio, hanno impedito lo spettacolo, hanno sfidato il Paese. La Serbia ci ringrazia, chiedendoci anche una consulenza per i sistemi di sicurezza nazionale. Resta da chiarire se la permanenza dei delinquenti del Luigi Ferraris sia a carico nostro. Così si è espresso Roberto Massucci, primo dirigente responsabile al ministero dell'Interno dell'ordine pubblico nelle manifestazioni sportive: «Se non interverranno fatti nuovi, tutti e quattro resteranno in carcere per scontare la pena. Dopodichè saranno espulsi dall'Italia».
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