Puniti tutti i partiti al governo Alle urne solo 4 europei su 10

Un voto contro. Sì, contro la crisi e dunque la maggior parte dei governi al potere nei Ventisette Paesi della Ue. Ma, anche, paradossalmente, un voto contro l’Europa se stessa, perché quando solo il 43% degli elettori si reca alle urne, stabilendo il record storico negativo, significa che la disaffezione è diffusa. «Poteva andare anche peggio», commentano alla Commissione europea. Ed è vero: alla vigilia alcuni sondaggi pronosticavano un’affluenza ancora più bassa.
Ma il dato resta sconfortante e dimostra che gli europei non intendono spendersi per un’istituzione che non sentono vera, che non sentono propria. È distante e, soprattutto, priva di poteri significativi, perché le decisioni che contano vengono prese altrove. Gli europei lo sanno e disertando le urne hanno voluto protestare contro una finzione.
È un voto euroscettico? Non necessariamente. I sondaggi dimostrano che l’euro, a lungo criticato, oggi viene apprezzato per la capacità di attutire i colpi della recessione e che l’ideale di un’Europa unita è ancora condiviso; ma non è abbastanza convincente da indurre i cittadini a recarsi alle urne per bloccare l’ascesa dei partiti ostili al progetto continentale. In Gran Bretagna, in Austria, in Ungheria, in Olanda, in Finlandia le forze anti-Ue e quelle di estrema destra avanzano nettamente. Ma il loro successo è amplificato dall’astensione alle urne, come peraltro già avvenuto in passato sebbene in misura minore, e da un’Europa che latita su troppi temi importanti: l’immigrazione, la criminalità, un’euroburocrazia che crea distorsioni in alcuni settori economici. Un’Europa che non è ancora autorevole e che non essendo amata, spinge all’apatia e all’indifferenza.
Ma è stato anche un voto di protesta contro i partiti e, soprattutto, le coalizioni al potere. Quasi nessuno esce indenne. Sarkozy, ad esempio. Nominalmente l’Ump è arrivata in testa con il 28% dei voti. Tecnicamente ha vinto, ma il 72% dei francesi ha votato per i partiti all’opposizione, premiando soprattutto i verdi di Cohn-Bendit che tallonano il Partito socialista, crollato al 15%. Il messaggio è inequivocabile: un’ampia maggioranza dell’opinione pubblica non è soddisfatta dell’Eliseo.
A Zapatero è andata peggio. Il premier spagnolo sperava di cavarsela con un pareggio o una sconfitta di misura, invece le proiezioni danno i popolari in testa con un vantaggio di tre punti e mezzo, 42 a 38,6%. Il risultato di Gordon Brown in Gran Bretagna era ampiamente previsto, mentre era molto atteso quello della Germania, che a settembre tornerà alle urne per le politiche. E anche qui almeno uno dei due partiti che compongono la Grosse Koalition, quello socialdemcoratico, soffre fermandosi al 21%, il peggior risultato di sempre; ma Angela Merkel non trionfa. Il 38,8 ottenuto dalla Cdu-Csu rappresenta un progresso rispetto alle ultime politiche, ma un peggioramento di oltre 6 punti rispetto alle europee del 2004 e, soprattutto, non spiana il cammino verso le elezioni di settembre.
Se la Francia (come peraltro il Belgio) si è tinta, parzialmente, di verde, la Germania si scopre azzurra: l’unico grande vincitore è il Partito liberale che supera il 10%, fermandosi a poco più di un punto dagli ecologisti; mentre l’estrema sinistra della Linke è inchiodata al 7%. Ma sommando Cdu-Csu e Fdp si arriva al 48,5%, non abbastanza per garantire la maggioranza assoluta. E sebbene il malcontento si sia riversato soprattutto sull’Spd, lambisce anche la Merkel che, a causa della recessione, non riesce a piazzare l’allungo.
Nei Paesi più piccoli la tendenza è analoga. Nella Repubblica Ceca, in Portogallo, Grecia, Bulgaria, Danimarca e Slovenia i partiti di maggioranza perdono a vantaggio di quelli d’opposizione, come in Lettonia, dove si rafforza quello che rappresenta la minoranza e, soprattutto, in Irlanda, che un anno fa affossò il Trattato di Lisbona, e che in novembre sarà riproposto agli elettori. Pessimo segnale.


Il malumore si riflette nella composizione del nuovo europarlamento, dove i grandi equilibri non cambiano: popolari primi, socialisti secondi, liberali terzi. Ma tutti e tre perdono seggi, soprattutto il Pse che passa da 215 a circa 160. Crescono i verdi, gli euroscettici e tanti partitini sparsi. Dalle urne emerge un’Europa fragile, un’Europa tormentata.

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