Qualche dubbio sui Tremonti bond

Premesso che riteniamo molto utile l’intervento dello Stato sulla capitalizzazione delle Banche e sulla loro fame di liquidità, confessiamo di non aver capito bene, nel suo significato economico, i cosiddetti Tremonti-bond.
Tanto per spiegarci, le banche che hanno necessità di avere un indice di patrimonializzazione superiore al 7% (il cosiddetto cor tier 1) emetterebbero delle obbligazioni speciali (i bond) che verrebbero sottoscritte dallo Stato. Le banche emittenti pagheranno una cedola annua inizialmente del 7,5%-8,5% che può arrivare sino al 15% in 30 anni. Queste obbligazioni, chiamate per l’appunto Tremonti-bond, non sono obbligazioni vere e proprie perché ai fini della vigilanza costituiscono patrimonio come se fossero cioè emissioni di nuove azioni. Non sono però neanche azioni perché non danno diritti di gestione della banca perché un’eventuale presenza pubblica del 4-5% nelle banche farebbe gridare allo scandalo a quei benpensanti che hanno combinato in questi anni i guai che sono sotto gli occhi di tutti. E tanto per chiudere su questo argomento, la stranezza sta nel fatto che il governo libico può sottoscrivere il 4,5% di Unicredit partecipando alla sua gestione con un vice presidente, mentre un ingresso nel capitale delle banche del Tesoro italiano o della Cassa depositi e prestiti sarebbe un attentato all’indipendenza del sistema.
Mistero della fede. Ma andiamo avanti. Ciò che non capiamo è perché queste obbligazioni con una così alta cedola non possono essere sottoscritte dai privati mettendoci sopra una garanzia dello Stato per i primi 4-5 anni. Sappiamo che la garanzia dello Stato non può essere gratuita, ma forse, con una giusta remunerazione, la cedola sarebbe pur sempre estremamente appetibile. Lo Stato risparmierebbe 12 miliardi di euro e i risparmiatori, dopo tante batoste, avrebbero un po’ di respiro finanziario.
Ma non è finita. Per sottoscrivere questi bond lo Stato richiede che le banche continuino a finanziare le piccole e medie imprese. Obbligo nobile e utile ma, di grazia, quale tasso verrà applicato dalle banche se per patrimonializzarsi e avere nuova liquidità pagano cedole che vanno nel tempo da 7,5% al 15%? E se negli impieghi le banche dovranno, come è giusto che sia, far riferimento al tasso di sconto della Bce e quindi praticare tassi del 4-5% o, nei mutui, fermarsi al 4% come è statuito da una delle ultime leggi, non è che stiamo inavvertitamente mettendo una mina esplosiva sotto la struttura economica delle banche per cui alla fine della giostra verranno patrimonializzate con questi Tremonti bond ma andranno a carte e quarantotto i rispettivi conti economici?
Ci spiegano che questi Tremonti bond sono degli ibridi e cioè a metà strada tra azioni e obbligazioni ma confessiamo di non aver capito la ratio di questo provvedimento potendo fare cose diverse e più semplici come entrare nel capitale delle banche per un periodo di 3-5 anni o garantire la sottoscrizione dei privati aiutando così l'economia reale meglio e più di quanto sarà possibile con questo meccanismo. Non vorremmo insomma (e questa è una nostra malizia) che lo Stato avesse scoperto un nuovo meccanismo per far soldi per cui quando chiede prestiti (titoli di Stato) offre rendimenti dall’1,5% al 3-3,5% e quando è lui a far prestiti chiede dal 7,5 al 15%.
Molto probabilmente siamo noi a non capire queste sofisticherie finanziarie, ma la nostra diffidenza è grande come grande è stata in tutti questi anni quella verso la finanza creativa che ci ha ridotto sul lastrico. In attesa di ulteriori spiegazioni vorremmo lanciare un appello al governo.

Se si vuol dare una mano all’economia reale, lo Stato paghi i suoi fornitori che attendono da tempo decine e decine di miliardi di euro per beni e servizi già venduti alla Pubblica Amministrazione. Mettere la polvere (cioè i debiti) sotto il tappeto non è mai una cosa saggia.
ilgeronimo@tiscali.it

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