A volte i titoli fanno bene ai libri, anche quando sono libere traduzioni. «Non così sbagliato», suonerebbe in italiano loriginale Not even wrong. Che diventa, opportunamente, Né giusto né sbagliato (Adelphi, pagg. 268, euro 18, traduzione di Carlo Borriello). Questo libro di Paul Collins è un viaggio nellautismo con un bimbo di tre anni, suo figlio Morgan, a farci da guida. E cè un solo posto dove si va a finire, seguendo la strada di un autistico: la sua mente. Lautismo non è un handicap, il segno «meno» davanti a una o laltra facoltà che concorre a definire la «normalità». Lautismo è lopposto: leccesso di segni «più». Allautistico, in fondo, manca soltanto una cosa: la teoria della mente. «La maggior parte dei bambini autistici - scrive Collins - non distingue tra la propria mente e quella degli altri; lidea che qualcuno possa pensare o vedere le cose in maniera diversa non li sfiora nemmeno».
Se pensiamo alla vita come a un gioco che, come tutti i giochi, ha un regolamento, lautistico pare destinato a «perdere» perché la Natura lo ha messo in gioco («gettato» nel gioco, direbbe Heidegger) senza che lui conosca la regola numero uno. La regola numero uno è implicita e semplicissima: tutti i giocatori giochino pure come vogliono, a patto di attenersi concordemente al regolamento stesso che, proprio in quanto regolamento condiviso, fa di loro dei giocatori. In altri termini: ogni giocatore deve riconoscere negli altri giocatori delle unità che con lui concordano sul fatto che si debba ognuno giocare rispettando il regolamento. Qui sta il punto: «lautistico - spiegava Hans Asperger, luomo che negli anni Quaranta per la prima volta impiegò il termine per descrivere scientificamente questo disturbo - è solo con se stesso, e non un membro di un organismo più grande». Ecco perché Né giusto né sbagliato è un ottimo titolo. In realtà lautistico non perde, non può perdere, al gioco della vita, poiché il suo regolamento è soltanto suo.
Quando il fisico teorico Wolfgang Pauli voleva esprimere scarsa stima nelle teorie di qualche collega diceva che non erano «nemmeno sbagliate». Per sbagliare occorre muoversi, anche se male, in un ambito di significati condivisi. Se dico «2+2 = 5», sbaglio, ma se dico «2+2 = farfalla», non riesco a sbagliare. Insomma, Collins (e con lui chiunque affronti lautismo senza piagnistei né fatalismo) vuole dirci che invece di continuare, da ottusi «normali», a studiare il problema «da fuori», applicandogli la griglia del nostro regolamento, dobbiamo sforzarci di entrarvi. E per aiutare lautistico a uscire dal suo guscio (da quello che i «normali» considerano un guscio) dobbiamo anzitutto renderci conto di quante cose contenga, questo benedetto guscio.
Per esempio addentrandoci nelluniverso della sinestesia (dal greco syn, «insieme» e aisthánestai, «percepire»), molto spesso associata allautismo. Il sinestetico mostra la singolare facoltà (facoltà, non handicap, «più», non «meno») di mischiare i sensi: per lui un rumore ha un sapore, un colore ha un suono, unimmagine determina una sensazione tattile... «Ma perché - si chiede Collins - succede una cosa del genere? In effetti, sarebbe più sensato chiedersi perché non avvenga in tutti noi. Nei primi due anni di vita, il cervello umano forma connessioni neurali a una velocità forsennata; molti di questi percorsi sono inutili o irrilevanti, semplici prodotti dello stupefacente profluvio di dati che invadono il cervello del bambino e dellincredibile velocità con cui il cervello si sviluppa allinterno del cranio. Eppure, tra i due e i tre anni di età il numero di neuroni presenti nel cervello si riduce». Che cosa avviene? Una «potatura neurale»: ciò che eccede i bisogni relativi a una vita sociale (poiché il bimbo «normale», diversamente da quello autistico, avverte di trovarsi in un mondo pieno di altri individui) viene eliminato. «Nella sinestesia e in altri fenomeni come lorecchio assoluto e la sindrome di Tourette è possibile che la potatura neurale sia stata incompleta».
Il viaggio della famiglia Collins (cè anche la dolcissima mamma Jennifer) attraverso lautismo di Morgan dura, nel libro, alcuni mesi. E parallelamente a questo si svolge il viaggio di Paul nella storia dellautismo in quanto mistero della scienza. Questo doppio binario, individuale e collettivo, è forse il modo migliore per esorcizzare la paura di restare soli. Una paura che, evidentemente, colpisce soltanto i «normali». Perché soltanto ai «normali» può capitare di pensarla come Thomas Bernhard: «Siamo tutti dei virtuosi del nostro strumento, ma tutti insieme produciamo una cacofonia intollerabile». Nellimmensa orchestra del mondo, accade raramente che lo strumento del singolo sintoni con il rumore circostante, contribuendo a trasformarlo in una musica. «Abbiamo avuto la fortuna - dice Collins - di un Isaac Newton che si è concentrato su qualcosa che anche gli altri trovavano importante. Ma i Newton delle lampadine dipinte, i Newton delle stringhe, i Newton degli orari ferroviari e i Newton dei pezzi di ricambio dei frigoriferi? A Isaac Newton è toccato di essere il Newton dei fisici newtoniani; e perché possiamo avere lui, bisogna che ci siano anche gli altri».
Poi un giorno succede che uno degli «altri», magari tuo figlio, ti chieda un panino prendendoti la mano e mettendo il tuo dito sulla parola «panino» scritta su un foglio dove ci sono le altre parole «yogurt» e, tutto in maiuscolo, «VOGLIO». «Allora vuoi un panino dico, sforzandomi di mantenere un tono calmo. Panino ripete lui. Bravo! Sai dire Voglio un panino?. Saidirevogliounpanino?. Be, ci siamo quasi. Lo abbraccio. Un po stordito, vado in cucina a fargli un panino».
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