Quando la gastronomia è cultura

Quando la gastronomia è cultura

(...) è eccellente e il turismo gastronomico è una risorsa vera e non immaginaria. Basti pensare a cosa è stata capace di fare Recco, autocaratterizzatasi come capitale della gastronomia.
L’aveva capito bene il presidente della Regione Sandro Biasotti, che venne anche preso in giro per la sua battaglia a favore del pesto dop dalla solita Genova con il naso all’insù, e l’ha capito bene anche Claudio Burlando, che però poi si lascia andare ad eccessi lirici, venerando Carlin Petrini, il vate storico di Slow Food e quello più recente del Partito democratico, più delle statue dei santi in processione.
Il problema è che - dietro una delle tante ottime intuizioni di Biasotti e la capacità di Burlando di fotocopiare alcune idee del predecessore, anche ampliandole in versione lusso - c’è poco seguito. E gli operatori gastronomici, spesso, sono lasciati soli. Senza un progetto unitario che - al di là della buona volontà dei singoli operatori (non tutti) - riesca a far parlare di cultura della gastronomia in Liguria. Nel drammatico silenzio di gran parte delle istituzioni, spesso troppo impegnate a correr dietro ad antistoriche celebrazioni resistenziali, piuttosto che a cercare il futuro della cultura.
Nei giorni scorsi, il nostro caro lettore Gian Luca Fois ci ha raccontato come in Sardegna la gastronomia sia giudicata alla stessa stregua del mare: un patrimonio da tutelare. E anch’io provo a indicare due esempi, romagnoli come la Cervia di Roberto Zoffoli, forse il miglior sindaco d’Italia, che in questi giorni, nel nostro dibattito, è diventata un po’ il simbolo di un altro modo di fare turismo. E, come sempre accade per le cose più vere, vi racconto le mie esperienze.
Provincia di Ravenna, primo esempio: Bagnacavallo. C’è una piazza - piazza Nuova si chiama - che è un capolavoro architettonico e anche un luogo dell’anima di cui è difficile non innamorarsi e in cui è difficile non innamorarsi. All’interno della piazza c’è un’osteria - Osteria di piazza nuova, si chiama, magari la fantasia non è il massimo - che cresce di anno in anno. Cresce dal punto di vista gastronomico; cresce nel numero dei clienti; cresce nell’affezione e nell’amore di chi la frequenta. Cresce, soprattutto, per l’amore di Maurizio Braganzoni - che formalmente ne è il proprietario e lo chef, ma in realtà ne è il cuore e l’anima - ed ha saputo trasformare un ristorante divino in un ristorante divino dove si fa cultura: teatro durante le serate con portate abbinate allo spettacolo; musica jazz; incontri; poesia, letteratura; persino una casa editrice che pubblica libri con il logo di Piazza Nuova. Di uno, una delicatissima favola di Roberta Vergimigli, ho avuto anche l’onore di scrivere della prefazione e, credetemi, è un mondo fatato che mi porto nel cuore. Maurizio Braganzoni ha fatto quasi tutto, a partire dall’entusiasmo e dalle idee. Il Comune di Bagnacavallo spesso ne ha condiviso i progetti, mai l’ha ostacolato. Ditemi voi se in Liguria esiste qualcosa di simile.
Stessa provincia, Ravenna. Altra storia. Quella di Cervia e della Casa delle Aie. É un locale di culto per tutti gli amanti della cucina romagnola. La notizia è che gli Amici dell’Arte, cuori dell’associazione che ne è proprietaria, lo danno in gestione con un bando severissimo, vinto negli ultimi due anni da Stefano e i suoi fratelli, che non risparmiano una goccia di sudore per meritarselo. I risultati si vedono: il gestore deve impegnarsi a tenere un livello di prezzi fissato dall’associazione, che non ha fini di lucro; la pasta fresca per i cappelletti deve essere rigorosamente stesa a mano; il ragù dev’essere fatto solo con un tipo di carne, mai inferiore a una determinata percentuale; l’acqua minerale può essere solo di una marca; le bibite sono bandite e via di questo passo.

Con uno scopo di fondo, oltre a quello di fare felici i golosi che mangiano alla Casa delle Aie: tutelare, preservare e trasmettere la cultura della cucina romagnola.
Poi si dà un’occhiata a casa nostra. E non serve aggiungere altro.

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