Quando l’Ue prometteva: «Ci divideremo i profughi»

RomaBelle parole al vento. Parole non dette ma scritte, in un documento ufficiale della Ue, della commissione Affari Interni per la precisione: «Call for proposals "Community actions" 2010», s’intitola l’ultimo rapporto su profughi e asilo. In questi giorni la Commissione europea non si sbilancia: nessuna parola a favore di una possibile distribuzione tra tutti i Paesi membri dell’ondata di profughi che nelle prossime settimane potrebbe raggiungere le coste italiane dalla Libia e dal Nordarfrica. La legislazione in vigore prevede aiuti dagli Stati europei solo su base volontaria, e due giorni fa la richiesta di solidarietà e condivisione portata da Italia, Francia, Spagna, Grecia Cipro e Malta è stata respinta da molte Nazioni del nord Europa.
Ma è stata proprio l’Europa a scrivere, nel documento ufficiale del 2010 sui fondi da destinare ai rifugiati, che sarebbe necessario supportare di più quei Paesi comunitari che si trovano a sostenere il peso maggiore di questa emergenza. Non solo, uno studio del luglio del 2010, divulgato sempre dalla Commissione Affari Interni, propone un nuovo meccanismo di legge, con la «distribuzione dei richiedenti asilo». Nello studio si parla di una «divisione irregolare del fardello» a discapito di alcune Nazioni.
Il punto 2.3 del documento «Invito a fare proposte» all’interno del piano economico per i rifugiati 2008-2013, aggiornato a dicembre 2010, invita dunque a «rinforzare i meccanismi di solidarietà e in particolare» ad «assistere quegli Stati membri che sono esposti a particolari pressioni nei loro sistemi nazionali di asilo». E si raccomandano meccanismi più fluidi nella «distribuzione intra Ue, su base volontaria» di coloro che hanno diritto all’asilo tra «uno Stato membro e un altro Stato membro in caso di particolare pressione», ossia in momenti di picco di richieste «di asilo». Sembra l’anticipazione di quello che potrebbe avvenire nelle prossime settimane come conseguenza della rivolta in Libia. Eppure a Bruxelles nessuno sembra ricordarsene.
Nello studio tecnico svolto a luglio dalla commissione guidata da Cecilia Malmstrom, si è iniziato addirittura a mettere in discussione il meccanismo di solidarietà volontaria. Si ipotizza la creazione di un elenco di «Nazioni idonee» a una eventuale «ricollocazione» dei richiedenti asilo. Si propone quindi una «base legislativa» per pensare a una distribuzione dei profughi in Europa, anche se si sottolinea come alcuni Stati preferirebbero la via di una maggiore «assistenza finanziaria». Ma i fondi, che tra l’altro in questo momento sono ancora incerti, non bastano. C’è un problema di strutture, di luoghi dove accogliere decine di migliaia di persone (300mila secondo le stime della Lega Araba). Il Viminale sta continuando la ricognizione di aree o edifici idonee all’accoglienza in tutte le regioni italiane.
Ieri anche il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha rivolto un appello a Bruxelles: serve «un intervento più ampio», ha detto, di fronte all’emergenza. L’Italia si associa «alla condanna più netta nei confronti dell’operato del leader libico». Si può quindi «ben discutere insieme senza alcun veto le sanzioni da adottare». Ma nello stesso tempo «vogliamo però» un «intervento più ampio dell’Unione Europea per fronteggiare l’emergenza profughi e per aprire una prospettiva nuova di cooperazione allo sviluppo della Libia» e «del Nord Africa».
Il rimpatrio degli italiani in Libia è difficilissimo. Le navi Mimbelli e San Giorgio hanno avvicinato il porto di Misurata, e in serata 245 italiani sono stati imbarcati. Riportare a casa i connazionali, ha spiegato il ministro Ignazio La Russa, è «la prima preoccupazione del governo e della Difesa». Un C-130 è decollato da Sabha.

Le «maggiori preoccupazioni sono per gli italiani nella zona di Hamal»: senza viveri, sarebbero stati anche drubati. Sugli aerei italiani «vengono imbarcati anche cittadini di altri Paesi» tanto che «l’Italia viene considerata come un punto di riferimento».

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