Nel 172 d.C., la XII legione dell'esercito Romano, la Legio Fulminata, provata dalla fatica, dal caldo e dalla sete, si trovava in grande difficoltà durante la campagna contro i Quadi e i Marcomanni. All'improvviso, però, erano comparse molte nuvole e si era scatenato un violento temporale. Se l'episodio di questa pioggia miracolosa è così celebre da essere raffigurato anche sulla colonna di Marco Aurelio, l'identità del "mago della pioggia" - pagano, cristiano o egizio resta però parecchio misteriosa. Secondo Cassio Dione, la pioggia sarebbe stata merito di un mago egiziano, Harnupis, che aveva invocato Mercurio; Tertulliano ed Eusebio di Cesarea, invece, scrivono che erano state le preghiere dei soldati romani a far cessare la siccità. L'ipotesi più fascinosa, però, è quella della Suda, bizzarro e non sempre affidabile lessico bizantino, che attribuisce il miracolo della pioggia prima a Giuliano il Caldeo, poi a Giuliano il Teurgo, suo figlio: gli autori, secondo la tradizione, degli Oracoli Caldaici, di cui esce ora un'edizione mirabilmente curata da Luciano Albanese (Fondazione Valla, pagg. 744, euro 50; trad. Claudio Tartaglini). Vissuti nel secondo secolo d.C., i due misteriosi Giuliani sono antesignani della successiva reazione pagana contro il cristianesimo: e il loro intento è quello di presentare la filosofia greca - soprattutto quella pitagorico-platonica - come frutto di una rivelazione divina uguale, se non superiore, a quella cristiana.
Il metodo adoperato per richiamare gli dèi è designato con un termine coniato, con ogni probabilità, dai due Giuliani: la "teurgia", letteralmente "azione tramite gli dèi o sugli dèi", che si contrappone alla teologia come la prassi alla teoria. Nonostante la novità della parola, però, la teurgia rievoca pratiche antichissime, già caratteristiche prima del mondo assiro-babilonese, poi di quello greco-romano. Per parlare con gli dèi e ottenerne il favore, servivano individui particolarmente ricettivi, come le Pizie o le Sibille, il cui ruolo viene elogiato e riconosciuto anche nel Fedro di Platone. E la maggior parte dei frammenti degli Oracoli, in realtà, si sofferma sui temi tradizionali della filosofia platonica: la genesi del cosmo, quella dell'anima, e il suo ruolo e destino all'interno del cosmo stesso. Molto diffusi nella tradizione platonica e citati più volte da Sant'Agostino, non sorprende che gli Oracoli abbiano avuto un'immensa fortuna nell'età rinascimentale: sia Marsilio Ficino che Pico della Mirandola li presentavano come opera originaria del mitico Zoroastro, tramandata dai Magi suoi seguaci, ed erano giudicati da entrambi il vero fondamento della filosofia platonica.
Perché l'anima "non deve inclinare verso il basso, verso il mondo della luce nera", ma deve "amare l'intelletto del padre", allusione al vero amore che conduce alla conoscenza mistica, quel "soffocamento del vero Eros" descritto dal meraviglioso frammento 212, e deve, soprattutto, "cercare il paradiso": il luogo a cui tendono tutte le virtù teurgiche.