Quando il Pci ammetteva di usare le tangenti

Nilde Iotti: «Se esiste la tangente che entra ormai nei preventivi dei privati occorre chiedere che queste tangenti vengano spese in strutture sociali (scuole, asili)». È il 1974. Non c’è ancora il reato di «finanziamento illecito», ma si è alla vigilia della sua introduzione in conseguenza dell’imminente varo del finanziamento pubblico ai partiti. Il vertice del Pci discute quindi insieme ai segretari regionali del Partito come far fronte alla nuova situazione nel momento in cui una parte consistente delle sue entrate va nascosta sotto il tappeto.
Come ha ricordato Gianni Cervetti già nei primi anni ’70 i comunisti «accettavano o ricercavano finanziamenti provenienti da imprenditori non più soltanto vagamente facoltosi, ma disposti a devolvere al partito una parte dei loro profitti in cambio di un sostegno a una loro determinata attività economica». E negli anni la voce «entrate straordinarie» si è andata gonfiando. Giorgio Amendola, 1 febbraio 1973: «Quando me ne occupavo io (fine anni ’50-inizio anni ’60, ndr) le “entrate straordinarie” erano il 30 per cento, ora siamo al 60 per cento».
Come «risistemare» questo 60 per cento nel momento in cui non solo i soldi del Pcus, ma anche quelli dati dagli imprenditori italiani diventano reato? È l’argomento centrale di queste riunioni del 28 maggio e del 3 giugno 1974. La speranza sarebbe che con il finanziamento pubblico il Pci possa fare a meno sia dei soldi sovietici sia delle tangenti italiane. Giorgio Napolitano, che è il delegato di Berlinguer in materia, nella relazione introduttiva insiste infatti sull’obiettivo che egli chiama della «duplice autonomia»: «autonomia internazionale» in riferimento all’Urss e «anche da condizionamenti di carattere interno».
Il lombardo Elio Quercioli afferma in modo inequivocabile: «Molte entrate straordinarie derivano da attività malsane. Nelle amministrazioni pubbliche prendiamo soldi per far passare certe cose. In questi passaggi qualcuno resta con le mani sporche». Lo storico Guido Crainz nel pubblicare questi stralci interpreta l’intervento di Quercioli come una sorta di prefigurazione di Tangentopoli: «Segnali espliciti di pericolo - scrive Crainz nel suo Autobiografia di una Repubblica (edito da Donzelli) - vengono dalle aree in cui il partito risulterà poi coinvolto dalle indagini di Mani pulite». Ma anche il segretario regionale dell’Emilia osserva: «C’è tutta una situazione da correggere radicalmente». Che le tangenti siano ormai, da quando Berlinguer è alla guida del Pci, un fenomeno diffuso nella periferia del Partito e nelle giunte di sinistra è Armando Cossutta, all’epoca responsabile amministrativo del Pci, a sottolinearlo: «Negli ultimi anni si è creato in molte federazioni un sistema per introitare fondi che ci deve preoccupare. C’è un inquinamento nel rapporto con le nostre amministrazioni pubbliche nel quale c’è di mezzo l’organizzazione del Partito e poi ci sono dei singoli che fanno anche il loro interesse personale».
Cossutta avanza quindi la proposta di cancellare la voce «entrate straordinarie» promettendo che con il finanziamento pubblico sarà possibile «liberare il partito da certe mediazioni... Certe operazioni noi non le accetteremo più».
Belle parole che però non convincono. Giancarlo Pajetta avverte innanzitutto la fragilità di questa posizione politica rischiando di esporla ai militanti andando loro a dire: «Guardate che prima prendevamo dei soldi di cui non vi possiamo dar conto e ora abbiamo il finanziamento che li sostituisce».
Negli interventi in queste riunioni del 1974 emerge infatti un sostanziale scetticismo. Quercioli è nuovamente esplicito: «Le attività da cui si traevano tangenti si continueranno a fare lo stesso. La verità è che le licenze non passano senza il sì dei comunisti».
E Guido Cappelloni, che è il vice di Cossutta per l’amministrazione con contatti diretti con la periferia del Partito, nel concludere il dibattito raggela le speranze espresse in apertura da Napolitano: «Riusciremo ad abolire la corruzione? Non credo. Sono molto preoccupato della capillarità della corruzione che coinvolge anche il nostro partito». Infatti quando successivamente, all’inizio del 1975, la direzione del Pci deve discutere il nuovo bilancio Guido Cappelloni adombra il fallimento: «Si disse al momento del varo della legge sul finanziamento pubblico che doveva essere un primo passo al quale altri avrebbero dovuto seguire per la moralizzazione della vita pubblica. Ma niente è stato fatto, e per la verità poco abbiamo fatto anche noi».
Che la situazione sia rimasta sostanzialmente immutata nel rapporto Pci-tangenti emerge poco dopo con l’esplosione dello scandalo di Parma che coinvolge esponenti comunisti. Berlinguer convoca una riunione d’urgenza della segreteria nazionale e ammette che «siamo ricorsi a finanziamenti deprecabili». Le «entrate straordinarie» continuano ad esistere come fondo segreto. La rendicontazione viene fatta a Berlinguer a quattr’occhi da chi lo gestisce e riassunta su un foglietto che poi il leader del Pci immediatamente straccia. Nel corso degli anni della «solidarietà nazionale» il fondo raddoppia passando da 4 miliardi nel 1975 a 7 miliardi e 912 milioni a fine 1978 e poi nel 1979 raggiunge gli 8 miliardi e mezzo. Il successore di Berlinguer alla guida del Pci, Alessandro Natta, così parlava degli arresti di Mani pulite: «Anche io ho dato, nel tempo, degli ordini. Forse - riporta il suo biografo Daniele La Corte - tra quella gente finita in prigione potrebbe anche esserci qualcuno che avrebbe potuto prendere ordini da me». E Armando Cossutta nel 1996 dichiara: «Le sinistre devono portare a compimento, con franchezza, un’operazione di verità.

Perché è purtroppo vero che nessun partito italiano può dire di non aver violato la legge sul finanziamento pubblico». «Il presidente di Rifondazione comunista - commentò il Corriere della Sera - dà sostanzialmente ragione a Craxi».
*Autore del libro
Storie di Craxi (ed. Boroli, 2009)

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