Quando SuperMario non voleva le tasse

Per anni il presidente del Consiglio ha censurato l'introduzione di nuovi balzelli: ma teoria e pratica non coincidono

Quando SuperMario non voleva le tasse

Il Mario Monti premier e il Ma­r­io Monti docente alla Bocconi so­no la stessa persona? Il dubbio s’impone se si rileggono oggi i pun­tigliosi editoriali che egli ha scritto per anni sulla prima pagina del Corriere della Sera in cui imparti­va lezioni di economia, indirizza­va i governi, ne sottolineava suc­cessi e (soprattutto) cantonate. Un flusso continuo arginato da due muraglioni, l’Europa e l’eco­nomia sociale di mercato, oltre i quali il professore non ha mai tra­cimato.
L’euro,la competitività,la debo­lezza dell’economia, la concorren­za, il ruolo delle banche. Per ogni capitolo della nostra vita economi­ca, il Monti accademico sapeva con precisione analizzare cause, conseguenze, responsabilità. Vo­lava alto fra riflessioni, analisi, tira­te d’orecchi. Rimproverava Prodi e D’Alema al pari di Berlusconi. A ognuno indicava una ricetta di si­curo successo.
Prendiamo le tasse. Oggi Monti impone una manovra pesantissi­ma che falcia le tasche dei cittadi­ni senza intervenire con tagli sulle spese dell’amministrazione pub­blica, senza ridurre i costi della po­litica e nulla facendo sulle libera­lizzazioni, che dovrebbero essere il suo vero cavallo di battaglia. Pa­radossalmente
 sono proprio i te­mi per i quali, da professore ed edi­­torialista, bacchettava i governi.
Il 10 maggio 1999, per esempio, Monti pubblicò un lungo interven­to intitolato «Economia debole per tre ragioni». Già allora, senza l’euro ma con Massimo D’Alema premier e Romano Prodi presiden­te della Commissione europea, si paventava il «rischio Italia» dovu­to a inflazione, debito, disavanzo. «Perché è così debole l’economia italiana?», si chiedeva Monti. Do­manda ancora attuale. Risposta: «Rispetto ad altre economie euro­pee, quella italiana sta pagando il prezzo di un’operazione di risana­mento più pesante, più concentra­t­a nel tempo e basata più su tempo­ranei
 aggravi fiscali che sul conte­nimento strutturale della spesa corrente».
Non ci sono ambiguità: per
 Monti fare cassa alzando le tasse piuttosto che tagliare gli sprechi indebolisce l’Italia.Il professore ri­peteva più avanti nello stesso arti­colo che «la riduzione program­mata delle imposte è necessaria, ma il suo passo sarà purtroppo re­so lento dal carico del debito pub­blico ». Teoria e pratica, malaugu­ratamente, oggi non coincidono.
Analogo biasimo Monti rivolge­va a Prodi nel 2006. L’8 ottobre, sempre sul
 Corriere ,sotto il titolo «Un bilancio non all’altezza» il professore esternava tutta la delu­sione per un esecutivo arenatosi nel mare delle liberalizzazioni. «Il governo non è stato coerente con i suoi programmi per quanto ri­guarda il mercato e il rapporto tra stato e mercato - protestava - . Il contenimento del disavanzo è affi­dato più a maggiori entrate che a minori spese. Sono limitati i prov­vedimenti di carattere strutturale.
L’inefficienza dell’apparato pub­blico e la sua pesantezza sull’eco­nomia non sembrano avviate a ri­duzione
 ». Monti era coerente nelle sue ri­mostranze: bisogna tagliare, non tassare. Lo ha ripetuto anche in tempi più recenti. Il 14 agosto scor­so sul Corrierecriticava il primo pacchetto anticrisi varato dal go­verno Berlusconi perché «non ha affrontato, né forse valutato, ade­g­uatamente i problemi della com­petitività, della crescita, delle rifor­me strutturali indispensabili per rimuovere i vincoli alla crescita». Quelle misure «non hanno potuto essere studiate con il dovuto ri­guardo all’equità e gravano parti­colarmente sui ceti medi». È la stessa critica che il Paese rivolge oggi proprio al nuovo presidente del Consiglio. «Crescita ed equità: è ora su questi due grandi proble­mi che l’azione del governo, delle opposizioni e delle parti sociali, dovrà concentrarsi»: peccato che i provvedimenti dello stesso Monti vadano all’ opposto.
Su un punto l’attuale premier è rimasto fedele a se stesso:l’ostilità
 a quello che chiamava «bi-pseu­dopolarismo ».

Monti proponeva, tre vie d’uscita dalla paralisi: «Un solido partito di Centro liberale, che l’Italia non ha mai avuto; una Grande Coalizione temporanea per rilanciare l’economia,o un go­verno di uno dei due poli capace di ricercare e ottenere, su decisioni necessarie a tale scopo, l’appog­gio di una parte del polo antagoni­sta ». Oggi Monti guida la soluzio­ne numero 2. Forse in attesa di da­re vita all’ipotesi numero 1. 

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