Quando la Thatcher disse: «Mi pago da sola l’asse da stiro»

Un’asse da stiro a fare la differenza. Per il resto, trent’anni dopo, gli stessi problemi e la stessa donna protagonista a dividere i soliti schieramenti. 1981-2011: dal cinema alla politica, è ancora Margaret Thatcher il pomo della discordia nella Gran Bretagna che riapre gli archivi nazionali di Kew e toglie il segreto a corrispondenze private, messaggi istituzionali ufficiosi e conversazioni interne al governo datati ’81. Impressionanti le coincidenze: le rivolte di Liverpool ieri come i riot di Londra dell’estate scorsa, le scintille con il presidente Valery Giscard d’Estaing trent’anni fa come le tensioni con la Francia di Sarkozy di oggi. Pure il raro e felice evento, il matrimonio reale di Carlo e Diana allora, l’unione di Kate e William quest’anno, a rallegrare un Paese in piena crisi economica. Con una differenza però. Negli appunti a mano della «Iron Lady», dopo le polemiche sulle spese esose per il rinnovo di Downing Street, c’è un particolare che ieri metteva in imbarazzo David Cameron: «Pagherò io per l’asse da stiro» - proponeva «Maggie» offrendosi di sborsare le 19 sterline in questione e i soldi per la biancheria «dell’unica camera da letto che usiamo». Occasione ghiotta per tornare a rinfacciare al premier in carica le sue spese, quelle affrontate per rimettere a posto la residenza: 64mila sterline. Una bella differenza con le 1836 - 8300 sterline di oggi - fatte spendere dalla Thatcher.
Così la Lady di ferro continua a essere l’incubo di politici di ogni colore e grado, pietra di paragone per ogni atto pubblico o privato e soprattutto donna della discordia. A partire da cose ben più serie dell’arredamento di Downing Street. Gli archivi liberati dal segreto di Stato spingono qualcuno a sospettare e a ironizzare sulla «Iron Lady». Che l’ex premier non fosse poi così di ferro?, come dimostrerebbero la rinuncia al ferro da stiro e l’interpretazione di Meryl Streep nella pellicola in uscita a gennaio. Lo proverebbero i documenti di Kew: a cominciare dalla volontà di trattare con i membri dell’Ira in sciopero della fame per ottenere lo status di prigionieri politici. La Thatcher autorizzò di persona concessioni per far cessare la protesta. Non solo. Maggie venne criticata dal ministero dell’Industria perché incontrava i deputati delle aree che fronteggiavano la chiusura delle fabbriche, dando l’impressione che il governo potesse offrire qualche aiuto. E acconsentì a dare a Giscard d’Estaing una poltrona con braccioli dopo che il presidente francese, stupito della disparità di trattamento, aveva chiesto «parità» durante un faccia a faccia. Poi Liverpool: mentre i suoi ministri le consigliavano di abbandonare la città a un «declino pilotato» dopo le rivolte di strada, la Lady di Ferro insisteva per mettere a punto un piano di rilancio e incontrava i leader delle comunità in subbuglio pregandoli di smetterla con le violenze.
Eppure nessuno, alla fine, ha il coraggio di accettare una Lady soft, una Lady in versione morbida. I nemici progressisti del Guardian ricordavano ieri che «per istinto, inclinazione ed effetto» la Thatcher «è e resta una polarizzatrice». E loro non vogliono dimenticare tutto il male che avrebbe fatto alla Gran Bretagna.

Di contro il Telegraph ricordava come fosse stata capace di fronteggiare gli «wets», i nemici interni al partito. «Sono stati sconfitti, ma non l’hanno ancora capito», commentava. Di ferro, insomma. Anche senza asse da stiro.

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