Quanto ci costa

Che cosa costa la guerra al terrorismo, anzi la guerra che il terrorismo ha dichiarato a noi, ai nostri valori, al nostro modo di vivere? Non possiamo ovviamente azzardare stime né previsioni quantitative, per quanto approssimate, né su scala mondiale, né per l'Occidente nel suo complesso, per l'Europa o per l'Italia. Ma soprattutto qualche ragionamento è opportuno, ed anche qualche cifra sia pur sporadica e isolata può soccorrere.
Per esempio (un piccolo esempio) si sa che il nostro governo stanzia 13 milioni di euro per rendere più sicuri i trasporti sotterranei, inevitabile incubo dopo la metropolitana di Londra. Nelle stazioni si ricorre a guardie private, si recuperano alle forze dell'ordine personale delle scorte. L'intero «pacchetto Pisanu» comporta costi diretti necessariamente notevoli, senza introdurre leggi speciali. Non sospendiamo Schengen proprio per vivere come vogliamo vivere in una grande democrazia, anche se non sempre efficiente come dovrebbe.
Ma dobbiamo difenderci, dobbiamo «vivere come al solito» (il «business as usual» dei londinesi e prima ancora dei newyorkesi), sapendo però che questo è più difficile e costa. Costa non soltanto in serenità e in calma, giacché questa è la vera posta in gioco, ma anche in senso strettamente economico: nella produzione e nell'impiego delle risorse. Ai costi diretti per la sicurezza e la prevenzione si aggiungono quelli indiretti a cascata, privati e pubblici, individuali e collettivi. Un freno alla produzione di reddito (compreso il suo equivalente non monetario del tempo libero e della «qualità della vita») e una spinta, d'altro lato, al razionamento in qualche modo inevitabile delle risorse disponibili in base a priorità in parte nuove e diverse. Dopo l'orrore di Sharm el Sheikh, dove arrivano ogni anno 600mila nostri turisti e divenuto quasi, per la domanda, un «litorale italiano», confermare certe vacanze è una sfida alla minaccia che ci viene portata, ma diventa praticamente impossibile. Il turismo come industria in molte parti del mondo rischia una grossa crisi, a cominciare dall'economia egiziana per la quale si stima che essa valga qualcosa come 6,6 miliardi di dollari all'anno. I trasporti passeggeri, internazionali, interni, metropolitani diventano più penosi e quindi costosi, soprattutto per i nostri pendolari delle grandi città. I ritmi si rallentano, nella produzione e anche nel consumo si richiedono più risorse (monetarie e no), la produttività non può che risentirne.
Bisogna quindi accrescere gli sforzi per mantenere gli stessi risultati: dobbiamo rendercene pienamente e fermamente conto. Tanto più che gli stessi risultati non bastano al nostro futuro e dobbiamo progredire. Dobbiamo renderci conto, in altri termini, che il nostro «tenore di vita» non è, per così dire, «al netto» della nostra sicurezza: la comprende, invece, come condizione vitale e come contenuti, sia materiali che etici, per oggi e per domani.
È evidente che questo impone sacrifici a tutti, ma sacrifici di altre cose relativamente meno importanti e urgenti della sicurezza, in questa guerra crudele di un nemico invisibile. Difficile dire, per quanto riguarda i consumi, se abbiano per caso ragione i sociologi (può capitare...) quando sostengono che la paura li modifica spingendoli verso quelli più futili. Purché, ci auguriamo, non spinga troppo a «concedersi il massimo, senza badare troppo alle spese». Forse non è proprio l'effimero ciò di cui abbiamo soprattutto bisogno, con tutto il rispetto per la sovranità del consumatore. Piuttosto, al di là della siepe, le imprese (e i risparmiatori) potranno trarre conforto per i loro piani d'investimento dai nervi saldi e dall'impeccabile ottimismo che i mercati finanziari hanno ostentato non solo dopo il 7 luglio londinese, ma ancor più dopo le bombe del 21 nell'Underground.
La sostanza è che la sicurezza interna ed esterna è un bene pubblico primario per ogni individuo e per ogni collettività. In un certo senso, ma di fatto in tutti sensi (materiali e immateriali) della vita umana nel suo significato, quando questa sicurezza è minacciata bisogna difenderla.

Vale a dire «produrla» con i suoi costi, come l'aria pura o quasi contro l'inquinamento, o in un sommergibile. Dato che per noi, senza retorica, l'aria della nostra libertà è essenziale: letteralmente vitale.
mariotalamona@mail.inet.it

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