LA QUASI VERITÀ DI BERLINGUER

La «questione morale - disse Enrico Berlinguer - è il centro del problema italiano». Aveva ragione. Ieri sul Corriere della Sera lo storico Giuseppe Vacca, presidente dell'Istituto Gramsci, ha rifiutato come «un abbaglio» questa evocazione a proposito della «vicenda Opa Unipol». Vacca afferma che il concetto di questione morale «non è ben definito né dal punto di vista giuridico né dal punto di vista etico».
Ma la celebre intervista con cui Berlinguer il 28 luglio 1981 lanciò la crociata per la «questione morale» invece è molto precisa e attuale. Come sanno i «fratelli-coltelli» di Liberazione (organo del partito di Bertinotti) che ieri l'hanno rilanciata contro la Quercia con questo provocatorio titolo virgolettato: «Attenti a quei partiti che scalano le banche».
L'impostazione di Berlinguer potrebbe essere fatta propria da un centrodestra liberale. Perché non è affatto una posizione moralistica-giacobina come quella della stagione di «Mani pulite». Egli affermava: «La questione morale non si esaurisce nel fatto che, essendoci dei ladri, dei corrotti, dei concussori, bisogna scovarli e metterli in galera...». Questo è ovvio. Per lui la più grave questione morale è «l'occupazione dello Stato da parte dei partiti». Spiegava: «I partiti hanno occupato lo Stato e tutte le sue istituzioni. Hanno occupato gli enti locali, gli enti di previdenza, le banche, le aziende pubbliche, gli istituti culturali, gli ospedali, le università, la Rai Tv, alcuni grandi giornali». E giustamente denunciava «il mercimonio che si fa dello Stato, le sopraffazioni, i favoritismi, le discriminazioni».
Berlinguer mentiva però quando attribuiva questo cancro solo ai partiti di governo dipingendo invece il Pci come il paladino casto e puro dei poveri e del Paese. Ed è proprio da lì, da quell'intervista, che nasce quel «complesso di superiorità morale», di «diversità antropologica» della Sinistra che il sociologo Luca Ricolfi ha ben definito come «razzismo etico». E che tanti guasti ha prodotto.
In realtà il Pci avrà avuto meno corrotti al suo interno, ma quanto al finanziamento della politica non poteva certo dare lezioni essendo vissuto con i rubli di un impero schiavista. Che sono peggio delle bustarelle. Ma anche sul fronte dell'occupazione dello Stato, se c'è un partito che ha saputo occupare le istituzioni (e pure la società civile) in modo scientifico - perfino dall'opposizione - è stato il Pci. Rileggiamo la casistica di Berlinguer e aggiungiamo: sindacati, magistratura, scuole, università. Era la lucida strategia egemonica elaborata da Antonio Gramsci. Ben più efficace dell'occupazione delle poltrone da parte di Dc e Psi, spazzata via da «Mani pulite».
Oggi il caso Unipol-Ds non interessa per il tema degli arricchimenti illeciti, che casomai spetta alla magistratura rilevare (ed è bene essere garantisti con tutti, soprattutto con chi è dall'altra parte). Rientra però nella seconda categoria, quella dell'occupazione da parte della politica di territori non suoi. La frase attribuita a Fassino («E allora, siamo padroni di una banca?») non ha rilevanza penale, ma induce a riflettere su un antico collateralismo che diventa egemonia sulla società. Come si vede nelle Regioni rosse, per le quali non arriveremo a dire - come Berlinguer faceva nel 1981 - che il voto non è libero, ma certo lì la vita sociale non è libera. Ed ecco la «questione morale».
Post Scriptum.

Fassino lanciò una sfida: «Vengano resi noti i testi delle telefonate, così tutti ne conosceranno il contenuto». Dunque se il Giornale lo ha preso in parola non ha senso gridare al complotto. Forse sarebbe stata una difesa più divertente quest'altra: «Non ho detto: siamo padroni di una banca, ma di una barca. Ho detto barca...».

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