Quattrocchi morì per non cedere al ricatto

In un’intervista, uno dei suoi carnefici rivela che la guardia giurata disse: «Il mio governo non tratterà»

Quattrocchi morì per non cedere al ricatto

(...) e sono felice che Mastrogiacomo sia tornato a casa. Ho sofferto per lui».
Nel mirino è finito il governo, con le sue scelte.
«Non credo che servano le polemiche».
Però per Fabrizio non fu neppure ipotizzato uno scambio di prigionieri, con la liberazione di talebani.
«La risposta l’ha data lo stesso iracheno che filmava la scena dell’uccisione di mio fratello. A una giornalista inglese che lo ha intervistato ha raccontato della lite avuta con Fabrizio poco prima dell’esecuzione».
Che risposta?
«Quell’uomo ha ammesso di essere rimasto molto colpito da Fabrizio. Poco prima di morire, prima di pronunciare la frase che tutti conoscono, si è rivolto all’iracheno e gli ha detto: “È inutile, il mio governo non tratterà mai con voi per salvare le nostre vite”. Una fierezza che ha lasciato il segno in uno dei suoi rapitori».
Ma Fabrizio avrebbe accettato di essere salvato con uno scambio di prigionieri, con un cedimento del governo al ricatto?
«Aveva le idee chiare, non accettava compromessi di alcun tipo, neppure da bambino sopportava i soprusi. No, non avrebbe voluto. E ora, dalle parole di quell’iracheno ho capito perché non avevano voluto dare il video integrale dell’uccisione di Fabrizio alle tv. I terroristi si nutrono della paura che riescono a incutere, Fabrizio con il suo gesto, con il suo coraggio ha demolito l’arma migliore a loro disposizione».
Però se il governo di allora avesse fatto come quello attuale, lui sarebbe ancora qui...
«Certo, con un’altra attenzione e con altri modi di trattare la questione, magari Fabrizio sarebbe ancora con noi».
Molti lettori però in questi giorni ci scrivono per dire che loro si sentono più vicini a suo fratello e al suo coraggio.
«Di questo sono commossa. Non so come ringraziarli tutti. Sono molto grata al Giornale che ricorda sempre Fabrizio, e a chiunque non ha mai dimenticato mio fratello. Tra poco saranno passati tre anni, eppure vedo che la gente non dimentica. Questo per la mia famiglia è molto importante».
Qualche anno fa c’era chi parlava di mercenario.
«Fabrizio era andato a lavorare. E veniva pagato, certo. C’è chi in questi Paesi a rischio fa sicurezza, chi fa giornalismo, ci sono i nostri ragazzi, i nostri militari che lavorano per portare la pace. Tutti loro sono esposti a un grande rischio per fare il loro lavoro».
Le istituzioni genovesi però non la pensano così.
«Non mi interessa. Ho molto apprezzato la circoscrizione Medio Levante che ha dedicato la sala del consiglio a Fabrizio. Ma soprattutto ringrazio chi ancora oggi mi ferma per la strada e mi dà forza. Ho notato che c’è un grande cambiamento nella gente, sempre più persone capiscono cosa abbia significato la morte di mio fratello».
Ora lei però si candida per entrare in una di queste istituzioni. Per An potrebbe far parte di quel consiglio comunale che bocciò la dedica di una via a Fabrizio.
«È una decisione che ho preso da poco, dopo averci riflettuto a lungo. Se ne parla da tanto, ma il mio sì è arrivato davvero da pochi giorni».
Ma qual è il suo «programma»?
«Non ho programmi particolari. Se ho scelto di candidarmi è solo per poter rappresentare tutta la gente come noi, quella che la politica non l’ha mai fatta di mestiere. E che magari dalla politica viene respinta solo per una questione ideologica. Non voglio che si decida più qualcosa a favore o contro qualcuno solo in base alla sua appartenenza politica».
Non ha neppure un pizzico di voglia di rivincita?
«No, assolutamente.

Le idee si portano avanti con chiarezza ma anche con dolcezza di modi. Urlare non serve. E poi a me, alla mia famiglia, bastano le parole di chi ha apprezzato Fabrizio. E di chi lo dice sinceramente, senza pensare all’effetto politico dei sentimenti».

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