Erano «lo stupore e l’ammirazione d’Europa». Lo sono ancora, anche a casa loro. I milord, gli aristocratici di Inghilterra, Scozia e Galles, sono la casta delle caste: anche quando finiscono senza più terre, soldi e potere, logorati da crisi e tasse di successione, rimangono con il lignaggio, cioè la storia, e soprattutto con la loro eccentricità, che poi è quello che tutti davvero adorano.
Ma oggi che l’aristocrazia è tanto più anacronistica, il suo fascino è ancora più forte: forse perché nei momenti di crisi il paese si rivolge al suo passato, forse perché un terzo delle terre di Inghilterra e Galles è ancora nelle mani della nobiltà, forse perché tutti, sotto sotto, sognano di frequentare Eton, andare a cavallo (ma non necessariamente a caccia), indossare cappellini assurdi. La prova è stato il matrimonio reale: una bomba per l’immaginario,la possibilità che perfino una commoner (anche se molto, molto ricca) come Kate potesse arrivare lassù, fino allo scranno di Elisabetta.
Nel 2011 molti britannici cercano di rimediare all’assenza di status comprandosi un titolo, uno stemma, una magione, un albero genealogico: pare che gli affari immobiliari per castelli e tenute di caccia siano sempre più floridi; così come prosperano le agenzie di ricerca araldica, per accontentare la voglia di antenati illustri. L’aristocrazia britannica dovrebbe essere un dinosauro e invece non è mai stata tanto ammirata: il libro La classe non è acqua (dello storico inviato Rai Antonio Caprarica, è stato appena pubblicato da Sperling & Kupfer) racconta che le visite ai castelli e al patrimonio storico sono aumentate fra l’11 e il 16 per cento nel 2009. I nobili di oggi, anche se non siedono più per diritto nella Camera dei Lord ( anzi il vicepremier Nick Clegg vorrebbe abolirla) e non hanno più quattrocinquanta persone a servizio come nell’Ottocento il Duca di Bedford, ricevono il popolo nelle loro residenze principesche, per fare quadrare i conti. Proprio Woburn Abbey, la reggia dei duchi di Bedford è stata aperta al pubblico dall’ultimo duca,John Russell detto Ian: grazie a un milione e mezzo di visitatori l’anno, lui e la moglie riescono almeno a conservare e far pulire il palazzo.
Il Duca di Northumberland ha pagato tredici milioni di tasse (e messo da parte altri dieci milioni) vendendo alla National Gallery un dipinto di Raffaello nascosto nella soffitta del suo castello di Alnwick; mentre il Conte Spencer, il fratello di Lady Diana,ha messo all’asta pochi mesi fa un Rubens e un Guercino, e col primo restaurerà il tetto di Althorp House. C’è chi consegna la magione al National Trust, come il Duca di Devonshire, o chi riesce a cavarsela trasformandola in un bed & breakfast. Perfino il duca di Buccleuch, i cui possedimenti sono i più estesi di tutta Europa, affitta uno dei suoi palazzi vicino a Edimburgo all’università del Winsconsin. Bucchleuch è così ricco e titolato da essere soprannominato il «re senza corona della Scozia ». Eppure ama definirsi «il manager di un pezzo di campagna». Snob, certo. Ma pure furbo, di quella furbizia che fa tanto saper vivere: non solo nell’alta società, ma anche adattandosi in un mondo senza nobiltà, perché solo l’essere aristocratici può giustificare, oggi, la loro ragion d’essere.
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