Quei contadini armati con archi e frecce che difendono i villaggi dagli attacchi jihadisti

I Boko Haram si sono infiltrati nel nord del Paese. L'esercito non si vede, ma c'è la milizia

Quei contadini armati con archi e frecce che difendono i villaggi dagli attacchi jihadisti

La catena montuosa di Mandara, nell'estremo nord del Camerun, a due passi dalla Nigeria, ha protetto per secoli gli abitanti di una ventina di villaggi dall'islamizzazione forzata, dai cacciatori di schiavi e dai colonizzatori. A queste latitudini, dove la coltivazione dei fagioli e la pastorizia rappresentano l'indispensabile risorsa economica, l'armonia è andata in frantumi nel 2014 con l'arrivo del gruppo terroristico dei Boko Haram. L'esercito del Camerun ha tentato di frenare l'invasione jihadista, ma con scarsi risultati. I terroristi si sono riversati dall'altra parte della linea immaginaria che separa il Camerun dalla Nigeria, seminando morte e distruzione e la ritirata dei soldati è stata vissuta dagli abitanti della regione come un tradimento.

«Siamo stati abbandonati al nostro destino - racconta Emmanuel - abbiamo più volte chiesto l'intervento delle autorità, ma senza alcuna risposta. A quel punto non abbiamo potuto fare altro che creare un nostro piccolo esercito, soprattutto per difendere donne e bambini dalla follia omicida». Emmanuel Viziga, 27 anni, fabbro di professione, è il coordinatore del comitato di sorveglianza di Tourou, località di 12mila abitanti che si è ribellata ai macellai dell'islam radicale. A bordo di una moto Honda, che ha conosciuto giorni migliori, percorre ogni giorno decine di chilometri per controllare l'operato dei suoi 265 uomini, armati di archi, frecce, pistole giocattolo, pietre e machete. «Gli uomini di Boko Haram hanno armi e fame, così ogni tanto scendono nei villaggi in cerca di cibo. Prendono raccolti, mucche e pecore, bruciano case e uccidono. Rapiscono anche i contadini costretti a coltivare la terra». Quando i terroristi vengono intercettati, gli uomini di Emmanuel, dotati di fischietto, invitano gli abitanti dei villaggi a mettersi al riparo e a chiudersi in casa. Al resto ci pensano loro, con una dose di coraggio encomiabile. «Un tempo da queste parti c'era una pattuglia dell'esercito, ma non ha mai mosso un dito. Siamo convinti che Boko Haram l'abbia pagata per non intervenire. Noi non siamo al soldo di nessuno, difendiamo ciò che ci appartiene».

Potrebbe apparire una lotta impari, ma negli ultimi quattro anni i volontari del comitato di sorveglianza hanno perso in tutto sette uomini, mentre sono aumentate le adesioni. Antonie Bakama, pastore di 37 anni e vice-comandante, lamenta la mancanza di collaborazione militare. Seduto su una roccia nel villaggio, ha dietro di sé la collina dove si trovano i jihadisti. «Interveniamo per scongiurare saccheggi e ogni genere di barbarie. Per correttezza informiamo la caserma militare della regione, ma è già un miracolo che qualcuno risponda al telefono». Questa sensazione di abbandono è presente nella maggior parte degli abitanti della zona. Diffidano dei soldati, compresa la Brigata di Intervento Rapido (BIR), il corpo d'élite dell'esercito camerunense che su altri fronti ha avuto la meglio sui terroristi. Per questo motivo ogni città ha creato un proprio comitato di vigilanza formato da agricoltori e pastori che si sono offerti volontari. Il governo proibisce loro di usare le armi, quindi non hanno potuto fare altro che ricorrere ad archi e frecce. Conoscono le strade che circondano le città in cui vivono e le percorrono, soprattutto di notte, alla ricerca di miliziani e di movimenti sospetti.

Oltre a utilizzare il Camerun come trampolino per condurre attacchi sanguinosi sul suolo nigeriano, Boko Haram si è introdotto nel paese per dare la caccia ai disertori che hanno abbandonato il movimento. Alcuni dei disertori hanno scelto di confluire in Ansaru, la formazione scissionista accusata di aver ucciso, in occasioni separate, i due ingegneri italiani Silvano Trevisan e Franco Lamolinara, e che non esitò a definire Abubakar Shekau, leader di Boko Haram, «un essere disumano».

I vigilantes si trovano quindi tra l'incudine e il martello, tra assassini predatori e milizie jihadiste determinate a regolare i conti tra loro. Nonostante il clima infernale non temono di affrontare i kalashnikov di Boko Haram con le loro armi rudimentali. Sostengono di essersi sottoposti a una serie di riti magici che li proteggono dai proiettili. «Contro di noi le pallottole non hanno alcun effetto - ribadisce Antoine, che indossa il suo scudo, con arco e frecce, a piedi nudi e con un ciuffo in testa e un altro sul petto -, cadranno a terra prima di penetrare nei corpi. Questo fa parte della nostra cultura e della nostra tradizione. Molti giovani non ci credono più, ma il rituale ha permesso ai banditi di Boko Haram di non entrare nella nostra città finora». Credenze popolari o meno, in svariate occasioni i vigilantes sono riusciti a spingere i terroristi a distanza di sicurezza.

«Sarebbe così facile sterminare i Boko Haram - afferma Moise, membro del comitato di sorveglianza - sono a pochi passi da noi, li vediamo sulle colline a occhio nudo. Sarebbe sufficiente che l'esercito camerunese o nigeriano inviasse un paio di elicotteri per bombardarli. Spazzerebbero via loro e le nostre sofferenze». Il pensiero diffuso è che i governi dei due Paesi abbiano tutto l'interesse a non debellare la piaga jihadista. «L'industria delle armi è collusa con il mondo politico. Non c'è volontà che l'incubo finisca. Nel conflitto contro i Boko Haram ci sono parecchie persone che si sono arricchite», sentenzia Emmanuel. I vigilantes non risparmiano critiche al presidente del Camerun Paul Biya, soprattutto quando nelle scorse settimane ha annunciato che nel suo Paese Boko Haram «è stato sconfitto». Si è trattato di una boutade, per alimentare consensi in vista delle imminenti elezioni, alle quali Biya, 85 anni e al potere da 36, si presenta da favorito.

La regione di Mandara in realtà continua a essere obiettivo di attacchi. Circa 250mila persone negli ultimi quattro anni sono state costrette ad abbandonare la zona per rifugiarsi in Ciad, che non è proprio un eldorado.

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