Quei maestri della Milano in miniatura

Una bottega di intagliatori lignei racconta il restauro di un’antica e perfetta copia della cattedrale

Quei maestri della Milano in miniatura

È del 1500 l’usanza di creare dei modelli particolarmente precisi di chiese e palazzi: dovevano restituire in grandezza umana un edificio, e venivano aggiornati di ogni modifica e lavoro che veniva realizzato nel tempo. Anche il Duomo di Milano, dal 1519, ha un suo piccolo sosia in legno di tiglio in scala 1:20, alto cinque metri e largo otto, che fu commissionato a Bernardino Zenale dalla Veneranda Fabbrica del Duomo. Da allora sono intercorsi tre secoli in cui sono state apportate innumerevoli modifiche e aggiunte, fino, cioè, al 1888 anno in cui l’intagliatore Giovanni Brambilla realizzò il modello della facciata.

C’è chi si dedica a questo piccolo gioiello dal 2006, per restaurarlo e renderlo visibile nuovamente nella Fabbrica del Duomo. Si tratta dello studio di Luca Quartana, specializzato in opere lignee e che ha già provveduto a restaurare parti delle maggiori chiese milanesi (come la Porta maggiore e struttura interna dell’Altare d’Oro della Basilica di San’Ambrogio, il coro della Chiesa San Maurizio al Monastero Maggiore, il Mobile di Sacrestia della chiesa di Santa Maria delle Grazie). Siamo nel 2011, i lavori sono quasi ultimati e il piccolo Duomo ha già iniziato a ritornare alla Fabbrica «pezzo per pezzo»: sì, perché il modello è composto da più di mille parti, che sono state separate, siglate e registrate in un manuale, per essere poi singolarmente restaurate e solo in ultima istanza riunite.

Il manuale costituisce la prima vera storia di questo modello del Duomo in miniatura: è una guida di inestimabile valore per chi dovrà in futuro rioccuparsi della manutenzione di questo modello, la prima in cui sono raccolte tutte le informazioni disponibili su ogni parte della costruzione, oltre agli interventi e gli studi che sono stati realizzati con quest’ultimo restauro. Nelle diverse epoche venivano apportate delle modifiche, anche molto dannose, come l’inserimento di viti in ferro (a centinaia), che furono aggiunte a partire dalla fine del 1700 e che nel tempo hanno causato diversi problemi di conservazione al legno. Quartana ha realizzato delle viti mordenti in collaborazione con tecnici specialisti in materie plastiche di Milano, apposta per questo Duomo: sono in vetroresina, e quindi resistenti a umidità e cambi di temperatura.

«Quando ci si approccia ad un nuovo lavoro di restauro, la prima cosa che conta è l’atteggiamento che si adotta nei confronti dell’opera» dice Quartana. Significa considerarla anzitutto come un bene comune, che fa parte dell’identità collettiva di una comunità: in questo senso il restauratore è anche un lavoro di regia, coordinamento, unione di vari saperi, ognuno dei quali può apportare una determinata sfumatura al risultato. «Non avrei potuto progettare questa vite senza la collaborazione di uno specialista, e non potrei pensare di operare senza la consulenza di uno storico dell’arte. La conservazione è un lavoro di relazioni e collaborazioni, e ogni restauro è un’operazione a sé stante.

Ha una sua storia e un suo modo di essere, mi permette di capire e approfondire determinati aspetti di Milano».

La sua passione per la città meneghina lo ha portato negli anni a scegliere di operare quasi esclusivamente in Lombardia: «Dal 1983 restauro a Milano, eppure mi sembra sempre di conoscerla poco. In quest’ultimo periodo mi sembra più spaventata, chiusa. Vorrei che recuperasse la sua capacità di dialogo, e l’arte è un mezzo importante per unire il tessuto sociale».

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