Quei no a sinistra che al Quirinale non sono piaciuti

Arturo Gismondi

Il discorso di Carlo Azeglio Ciampi nei giorni scorsi al Quirinale, per l’importanza dell’uditorio (in pratica tutte le più alte cariche dello Stato e gli esponenti di tutti i partiti) è apparso come una sorta di primo bilancio di un settennato che si avvia alla fine. I temi trattati sono stati tanti, ma uno di essi merita più attenzione di altri. Ciampi si è detto «rammaricato» perché i suoi reiterati inviti a maggioranza e opposizione, e a un reciproco riconoscimento dei comuni doveri verso le istituzioni e il Paese non sono stati quasi mai riconosciuti.
Il discorso di Ciampi si è fermato qui, e pochi si sono soffermati sul valore di una affermazione che sa ormai, per questo argomento, di commiato. Il discorso merita di essere ripreso. E vi sono pochi dubbi sull’atteggiamento dell’opposizione, e di tanta parte della sinistra nel corso dell’ultima legislatura, nella quale una opinione pubblica è stata intossicata nei confronti del governo, e del suo leader quasi a mettere in discussione il risultato del voto nel maggio 2001. E un fenomeno che in varie occasione ha colpito anche quella parte degli osservatori politici che non hanno pregiudizi nei confronti del partito di D’Alema, di Fassino e della coalizione guidata da Prodi. Si è riconosciuto anzi da parte di esponenti dell’Ulivo, per esempio da parte di Rutelli, che l’anti-berlusconismo non poteva essere l’unico collante dello schieramento di centrosinistra, che a ciò doveva provvedere una definizione più precisa della fisionomia politica dell’opposizione e un programma adeguato. Da altri è stato detto, dinanzi alla gara dei tanti partiti che fanno parte dell’Unione di chiedere il rovesciamento di questa o quella legge, di questa o quella riforma, che il compito della coalizione di sinistra, ammesso che vinca le elezioni non è quello, che sa di vendetta o di ritorsione, di azzerare quel che è stato realizzato.
È successo fin qui che la pressione delle aree più estreme dell’alleanza di Prodi, dalle sferzate alla “resistenza” di intellettuali alla Moretti o alla Asor Rosa, a quelle di fasce extraparlamentari (si pensi al ruolo avuto dai gruppi no-global, disobbedienti e simili, fino ai famosi «Girotondi») per non parlare del ruolo dei sindacati, hanno contribuito ad attestare la sinistra su una linea di quasi ostruzionismo e su molti temi sui quali una discussione serena avrebbe consentito di chiarire le rispettive posizioni. Va aggiunto che questo è avvenuto anche laddove (ad esempio sulla devolution, sulla legge Biagi, o sulla riforma della scuola e persino sulla legge elettorale) la Casa delle Libertà sottoponeva al voto del Parlamento riforme avviate, o tentate dalla sinistra nella precedente legislatura. La maggioranza di governo è stato molte volte messa nella condizione di rinunciare alle sue proposte, dinanzi a logoranti ostruzionismi delle opposizioni, o a votarle da sola come è nel suo diritto.
Anche in questi giorni, nonostante un parziale allentamento delle tensioni a seguito della decisione di Fazio di farsi da parte, l’opposizione da una parte chiede che si chiudano al più presto gli effetti della crisi restituendo alla Banca d’Italia una condizione di normalità, e di conseguenza che si arrivi subito a nominare il nuovo Governatore, dall’altra parte si impunta sul “modo” scelto dal governo per rispondere a queste sollecitazioni. L’opposizione sa benissimo che per arrivare alla successione di Fazio è necessaria l’approvazione della legge sul Risparmio, della quale da ogni parte si lamenta il ritardo. La mancata definizione di questa norma, fra l’altro, è stata motivo non ultimo, per un sistema politico votato al rispetto delle leggi, della durata e dell’asprezza della resistenza di Antonio Fazio. Il governo ha posto la fiducia per approvare al più presto la legge, e oggi ci sarà il voto.

Nessuno chiede all’opposizione di votarla, ma perché impegnarsi nell’ultima battaglia su una vicenda che da ogni parte si è deciso di chiudere entro la fine dell’anno, vista anche l’ampiezza del calendario parlamentare?
a.gismondi@tin.it

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