Quei politici pidiellini meno Gagliardi

Quei politici pidiellini meno Gagliardi

(...) Così come lo sono state per Franco De Benedictis, un altro eletto nel centrodestra - nella lista arancione di Sandro Biasotti, per la precisione - trasmigrato pure lui nell’Italia dei Valori. Ma rimasto una persona perbene anche da dipietrista. Persino da dipietrista, verrebbe da dire, insieme ad altre persone perbene come Nicolò Scialfa o come Francesco Scidone, con cui dissentiamo spesso e volentieri, ma a cui riconosciamo passione politica.
Insomma, l’addio di Gagliardi non è indolore. L’ex deputato ed ex sottosegretario è stato un pezzo di storia di Forza Italia a Genova (mentre non lo è stato del Pdl, partito in cui non ha mai creduto perché nato da una fusione a freddo gestita dall’alto e l’ha detto in tempi non sospetti, occorre dargliene atto), conducendo anche battaglie coraggiose, quando era difficile condurle. Poi, certo, credo che sia impossibile non litigare con Gagliardi, almeno su qualcosa, anche perché solitamente i dibattiti con lui partono dall’assunto che lui ha ragione e che l’interlocutore ha torto. Così come credo sia impossibile dargli completamente ragione o completamente torto su tutto. Ad esempio, sulla vicenda moschea, su cui non avrebbe nemmeno tutti i torti, è riuscito a passare dalla parte sbagliata trasformandosi nel più duro integralista filo-islamico: Albert-Al-Ghahaglihard.
Poi, certo, credo che alcune cose che non andavano nel centrodestra si potevano scoprire e denunciare anche da deputato o da sottosegretario e che Berlusconi non fosse il bene assoluto prima, così come non è il male assoluto ora. Insomma, il tempismo dell’uscita poteva essere studiato meglio. Ad esempio, non aspettando il giorno della (giusta, alla luce dell’assurda campagna elettorale) disfatta.
Ma, in questo compendio del pro e contro Gagliardi, non si può non dire che gli fece giustamente male l’assenza di Silvio Berlusconi prima, durante e dopo i funerali di Gianni Baget Bozzo, che di Gagliardi era l’amico, l’ispiratore e lo sponsor politico. Lì, quel giorno, sul sagrato di via Corsica, si è consumata la vera rottura. E quella di questi giorni è solo la ratifica. In quell’occasione, l’ex sottosegretario di Berlusconi alla presidenza del Consiglio aveva tutte le ragioni. Ma ce le aveva a modo suo, come sempre eccessivo e totalizzante, come se Baget fosse solo suo. Mentre non era solo suo. Anche se don Gianni aveva diritto al saluto di Berlusconi e fu trattato peggio delle gemelle De Vivo.
Oggi quella storia si chiude.

La scelta di Gagliardi non è la mia scelta, anche perché sentire elogi smodati a Leoluca Orlando, lo stesso che attaccò in televisione insieme al suo deputato Manlio Mele il maresciallo dei carabinieri di Terrasini, poi suicida, è solo l’ennesimo eccesso di passionalità gagliardiana. Però, comunque, nonostante tutto e nonostante questo articolo, non è un addio indifferente. Tutto qui.

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