Quel filo diretto tra Corsera e toghe rosse

Stefania Craxi

Le dichiarazioni del sottosegretario con delega ai Servizi, Enrico Micheli, chiudono una delle pagine più vergognose della Procura di Milano e del Corriere della Sera (non la più vergognosa, perché il legame perverso tra Procura e Corriere ha raggiunto vette irraggiungibili ai tempi di Tangentopoli).
Micheli, parlando a nome del governo, ha rinnovato la sua fiducia al Sismi e indirettamente al suo capo, il generale Pollari, giustificandone l’operato con parole inequivocabili: «la collaborazione sul piano interno e internazionale è resa evidente dai risultati, anche recentissimi, raggiunti grazie ai Servizi italiani e nel pieno raccordo operativo con gli uffici della presidenza del Consiglio».
Si svuota così una indegna campagna intrapresa da diversi mesi dal Procuratore aggiunto Spataro contro il nostro servizio di sicurezza militare, colpevole di aver collaborato con i Servizi statunitensi per neutralizzare un reclutatore di kamikaze. Una campagna che, dopo la formazione del governo Prodi, aveva raggiunto il suo culmine con l’arresto del generale Pignero e del numero due del reparto investigativo Mancini, con l’incriminazione del generale Pollari e i mandati di cattura per ben ventisei agenti della Cia, tra i quali i più alti in grado operanti in Europa. A che cosa mirasse tanto straordinario accanimento, oltre che a soddisfare il protagonismo di un magistrato uso alle prime pagine dei giornali, nessuno è riuscito ancora a capirlo; ma gli effetti sono stati devastanti. Per settimane l’intero Sismi è stato sotto accusa e si deve all’abnegazione di ufficiali e agenti, nonché al senso di responsabilità del generale Pollari, se il nostro servizio di controspionaggio non è stato immobilizzato lasciando campo aperto ai nemici dello Stato.
In questa vicenda il Corriere della Sera è stato portavoce e megafono delle velleità antiamericane di una «toga rossa» con cui noi socialisti craxiani abbiamo un conto aperto da quando Spataro collaborò alla vergognosa assoluzione di fatto degli assassini di Walter Tobagi e riuscì a far condannare l’Avanti! che reclamava più giustizia. Il Corriere ha riportato puntualmente, come fatti veritieri, le ipotesi accusatorie della Procura; ha condito di aggettivi le cronache; ha seminato allarme per pretese attività illecite del Sismi; ha addirittura condotto una campagna di stampa contro il generale Pollari, chiedendone le dimissioni e asserendo che alla sua sostituzione non mancava che l’intesa dei partiti della maggioranza sul nome nuovo.
Spero che il ministro dell’Interno Amato abbia seguito la vicenda e sia d’accordo con la dichiarazione con cui il governo ha voluto chiudere il caso. Amato aveva denunciato la collusione tra stampa e magistratura per lo scandalo delle intercettazioni, ma ha anche tentato di circoscrivere il caso chiarendo che la sua indignazione era rivolta alle intercettazioni passate ai giornali dalla Procura di Potenza, contenenti le vicende boccaccesche di Vittorio Emanuele di Savoia e di «Vallettopoli». No, lo scandalo delle intercettazioni non sta in Basilicata ma a Milano, e i protagonisti non sono il Pm Woodcock e il gazzettino locale, ma la Procura di Milano e il più grande giornale nazionale. È uno scandalo che dura da quattordici anni. Ed è lì che Amato deve indagare se vuol trovare le prove di quei rapporti scellerati di cui ha parlato. Ma si vogliono trovare queste prove? Ne dubito.

Io ho denunciato lo scandalo in Parlamento, con una documentata interpellanza, e ho avuto per tutta risposta il balbettio di un sottosegretario. A riprova che il centrosinistra non dimentica che deve la sua striminzita vittoria elettorale anche ai bassi servigi del «Corriere» e della magistratura militante.

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