di Beppe Di Corrado
Chiudi la porta e spegni le luci. Non si brinda più. Ciao. Gli occhi dicono quello che le gambe hanno già raccontato: Adriano non cè, cammina senza muoversi. È il paradosso di uno che sè fatto strada a sportellate. Ubriaco o sobrio, alcol o stiramento: importa davvero la verità? Questo è solo lultimo capitolo di una storia andata a male. Adriano ha smesso anche di parlare: non si giustifica più, non cerca più una scusa. Forse ha scelto e basta, oppure ha lasciato che il destino facesse per lui: un gigante si può arrendere anche prima, può smettere di combattere per paura degli altri e di se stesso.
Adriano sè attorcigliato nel personaggio, sè imbrigliato nella sceneggiatura dellincompreso: a 26 anni cera ancora tempo per non fallire. Bastava finirla con la storia di quello che s'è perso, che non sorride più, che non sogna, che deve trovare la pace. Sè scrollato gli alibi, sè tolto la retorica, sè spogliato dellabito che gli avevano cucito su misura: la testa, l'immaturità, la fragilità. Lui c'ha messo la morte del padre, la solitudine della madre, la fidanzata che l'ha mollato, l'alcol, le feste, gli amici. È tornato per dire che era finita, che la centrifuga fatta in Brasile lanno scorso gli aveva ripulito lanima. Era pronto, questanno. Lha detto lui, lha detto la società, lha detto lallenatore. Non è vero che non cè stata pazienza. Adriano non è stato un problema fino a quando non ha creduto di esserlo da solo. Mourinho lha stuzzicato: sè presentato con quella storia degli orari, delleducazione, della tolleranza zero. «Chi non arriva in tempo per gli allenamenti la domenica sta a casa». Ce laveva con lui, ovvio. Senza dirlo, senza esagerare, senza sbatterlo in faccia: subdolo e però delicato, perché allepoca poteva essere troppo presto.
Lui ha fatto di sì con la testa: il bravo figlio che ha capito lerrore, che è tornato sereno. Nessuno lha forzato. Prenditi il tuo tempo. È stato aspettato perché a un certo punto nessuno saspettava più niente da lui, perché non era più lImperatore, ma solo Adriano, cioè quello di Parma, del gol in libertà, dellesultanza, del polsino sul braccio sinistro e dellancata data a ogni avversario per superarlo. Allora è stata unillusione: lui ha fatto finta, ha sorriso, ha cominciato a riprendere a sportellate gli avversari, a sorridere. Ci hanno creduto tutti: è entrato, cha provato, non cè riuscito e sè arreso. Senza motivo e senza carattere. Non gli hanno chiesto neanche i gol, ma solo di essere se stesso: col corpo, con le cosce, con le braccia, con la forza. Gioca e fai Adriano, non serve il colpo, né il dribbling: lui ha sempre avuto la forza e quella non la perdi così, non ti crolla se sei libero con la testa. È la fortuna dei forti: sapere che cè il fisico che è sempre con te, che basta solo sgombrarsi il cervello e si torna come prima. Perché ha smesso di crederci? A un certo punto hanno smesso anche di usarlo come merce di scambio: per Lampard, per Etoo, per Adebayor, per Drogba, per gli altri. Ora non cè neanche la concorrenza: Balotelli sè fatto fuori da solo, Cruz sè infortunato, Crespo non viene visto da Mourinho.
Allora che cosè? Che cè? Non è il primo, lo sa. Ci sono gli altri che si sono persi prima però si sono ripresi. Lui ha anche parlato di sé, ha fatto lo scatto e sè bloccato. Immobile col mondo di fronte, con una porta spalancata: lui, il suo sinistro e il portiere. Cioè gol, sicuro. Ha scelto di essere un caso a prescindere: il caso Adriano, una telenovela incomprensibile e surreale. Neanche un mese fa ha giocato titolare contro la Juve. Se laspettava nessuno, tranne lallenatore: non cè ostruzionismo, né vessazione, né odio. Mou vuole vincere. Punto. A fine partita gli hanno persino fatto i complimenti. Il nemico Mourinho: «Grande partita». Poi il vuoto.
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