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Quel giorno che Tyson illuminò il ring

Il 22 novembre di 20 anni fa, Mike aprì un’epoca mandando ko Berbick e diventando il più giovane campione dei massimi

Cinque minuti e 35 secondi fecero cambiare faccia al mondo che cercava idoli, interpreti, bestie e bestioni da ribalta. Boxe, ma non solo boxe. Quel giorno Mike Tyson portò sul ring vent’anni di rabbia e cento chili di potenza: esplosiva, distruttrice, devastante. 22 novembre 1986, 20 anni ad oggi: Mike Tyson divenne campione del mondo dei pesi massimi, il più giovane della specie. Nato a Brooklyn il 30 giugno 1966, varcò l’arco del trionfo a 20 anni quattro mesi e 22 giorni. Tolse a Floyd Patterson, il nero più amato dai bianchi, la corona del campione più giovane. Stritolò sul ring Trevor Berbick: allora un pastore di anime, un predicatore con la croce e con i pugni, oggi l’uomo stroncato da un machete, finito sulla sua testa meno di un mese fa. Un’altra storia torbida.
Berbick portava la croce disegnata sulle braghe, Tyson pantaloni neri e scarpe senza calze. Era alto un metro e 79, pesava 100 kg e 345 grammi, aveva quel collo dalla circonferenza che divenne un segno di potenza e lo scettro della sua bestalità: 49 centimetri. Eppoi, in quel deserto di neon e stravaganze che era Las Vegas, fece intuire a tutti la croce con la quale dettava il credo: quello dei pugni. Lo chiamavano già «dottor ko» per l’impressionante capacità di toglier luce ad ogni avversario. Poi divenne Kid Dinamite, King Kong e tanto altro: tutto volto al peggio più che al meglio.
Mike fu un ciclone che si abbattè sul ring. Una macchina da pugni costruita da Cus D’Amato nel rifugio di Katskill. D’Amato era l’uomo che aveva svezzato Patterson e che dimostrò di aver visto giusto anche con Tyson. Nel secondo round, Iron Mike prese Berbick con un sinistro ad effetto ritardato. Ci vollero secondi perchè il campione del mondo crollasse al tappeto. Quasi qualcuno avesse deciso che lo spettacolo andava goduto lentamente. Berbick provò a rialzarsi, rimbalzante da una parte all’altra delle corde come una palla di gomma, senza che le gambe ritrovassero forza e il cervello lucidità.
Il pugile pastore lasciò così quel titolo conquistato esattamente sette mesi prima contro Pinklon Thomas. E così Mike Tyson cominciò la sua avventura - sventura. Simbolo di un mondo bestiale, figlio di un indecifrabile furore che lo ha spinto all’agonismo e all’agonia, all’autoflagellazione e alla devastazione sul ring, nelle strade, nelle camere da letto e nella sua vita. Tyson aveva nel destino la possibilità di divertire il mondo, dopo Superman e Rocky Stallone.

Invece finì bollato dalla stampa americana come un campione disgustoso e del disgusto.

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