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Ma a quel punto era facile sembrare più di un «omonimo»

Aveva tutti i riflettori su di sé, ma non ha fatto una piega

All’inizio un sorriso. Anzi, un sorrisetto di commiserazione. Dopo su quell’uno-due sgraziato destro-sinistro davanti alla porta sparati e sprecati contro il portiere del Napoli. «Quello lì non la butta dentro neanche a spinta». Ma poi i minuti passano, «quello lì» magrolino con il numero 7 corre dappertutto, non è elegantissimo ma dribbla e tira da tutte le posizioni e la mette sempre nello specchio. Sarà troppo presto per chiamarlo Fenomeno, e poi l’«omonimo» - diciamolo - non è che poi sia questa meraviglia. Ma uno così non ce l’abbiamo e non ce lo possiamo permettere. E poi, dopo il 4-2, caspita, ha dilagato. Dio che nervi quella galoppata-scarto-tiro da furbetto-gol. Sì, è più facile quando giochi con Kakà, Seedorf, Ronaldo e Pirlo che quando a fianco hai Caracciolo o Giacomazzi o Tiago o Ventola. Però... Ebbene sì, lo dobbiamo ammettere. Vorrebbe essere sarcasmo, invece è solamente invidia. Quello alla prima a San Siro ha mostrato tutto un repertorio che altri Fenomeni, Imperatori, campioni incompiuti con la faccia da Chino... chi sono? E quindi vorremmo sognare anche noi che sbaviamo d’invidia per un papero brasiliano.

Vogliamo un sogno, vogliamo un Pato.

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