Quell’Italia fatta a mano che non si arrende mai

Ci mettono tre mesi per rifinire un paio di scarpe. In un giorno non costruiscono più di tre ombrelli. Artigiani ma anche artisti che alla produzione in serie preferiscono la cura del particolare. Sono pochi. Ma buonissimi...

Quell’Italia fatta a mano che non si arrende mai

C'è un'Italia che corre e una che sa aspettare. Nella frenesia quotidiana, il tempo non basta mai e la tecnologia ammanta tutte le operazioni giornaliere. Ma c'è un piccolo mondo che rimane fermo. Un mondo fatto di persone che non guardano l'orologio e che non usano nessun apparecchio tecnologico, ma solo le proprie mani. É l'Italia della pazienza, della tenacia, della minuziosità e della passione. Si chiamerebbero artigiani, ma sono molto di più. Rarità in una società che viaggia a ritmi supersonici, poco disposta a pazientare per avere oggetti di uso comune, come borse, scarpe, guanti, ombrelli, tessuti, cappelli. É tutto un take away rapidissimo. Ma ci sono ancora posti sospesi dove, per esempio, per realizzare una scarpa si impiegano tre mesi e il cliente quasi pretende di aspettare. Perché è la qualità che fa la differenza, l'attenzione minuziosa verso il particolare e quel fascino dell'antica tradizione. Il mensile «Elle» ha scovato alcune di queste botteghe d'oltre tempo. Come il laboratorio di Mario Talarico, in quel di Napoli, dove si producono ombrelli unici e speciali. Ombrelli che hanno suscitato l'interesse di conti, consoli e cardinali, prodotti utilizzando legni pregiati, come le radici di castagno o i tronchi di giunco, e rifiniti con una punta in corno, dalla perfezione millimetrica. Tutto fatto rigorosamente a mano. Per questo, Talarico non riesce a realizzare più di tre ombrelli al giorno. E proprio per questo i prezzi raggiungono le migliaia di euro.
Sempre per rimanere in Campania, c'è una donna capace di trasformare una conchiglia in un gioiello prezioso. É Lillina Coscia, la signora dei cammei. Un lavoro certosino e paziente che conta numerosi clienti disposti a spendere qualche migliaio di euro pur di sfoggiare uno di questi gioielli. Spostandosi nella Capitale, si scopre la passione del guanto. Un guanto fatto su misura, quello di Merola Gloves. Con dovizia di particolari, si scelgono le pelli e si lavorano. Il solo ausilio della tecnologia è dato dalla macchina per cucire elettrica e dalle «mani metalliche» su cui vengono stirati i guanti.
Non manca invece chi è ancora disposto a realizzare scarpe su misura. Si tratta della ditta Peron & Peron, i cui proprietari, Bruno e Simone creano scarpe interamente a mano da 40 anni. La cura dei particolari, la qualità del prodotto e lo studio dell'anatomia della calzata esigono solo una regola: la pazienza. Perché il tempo di attesa per un cliente è di tre mesi. Ma non manca gente disposta ad aspettare. Basta spostarsi nella capitale della moda, per trovare poi la «cappellaia magica». Si chiama Laura Marelli, lavora alla cappelleria Gallia e Peter e quello che realizza è una via di mezzo tra una scultura e un'opera stilistica. Usa piccolissimi ferri da stiro di ghisa, piatti tondeggianti o arroventati su piastre incandescenti per lisciare tele perfette e modellare ogni balza. Ma soprattutto usa le mani con una maestrìa unica.
E poi ci sono maestri delle borse, come Giorgio Santamaria, in arte Giòsa, uno dei pochi italiani a eccellere nel taglio dei pellami o sarti come Pino Grasso, esperti nei ricami e nella decorazione dei tessuti. Per tutte queste persone la tecnologia è un ingombro. É la manualità, il valore inestimabile.

C'è gente che arriva da lontano, affascinata dalla tradizione e dalle antiche botteghe del passato. Gente disposta ad aspettare e a pagare anche profumatamente il lavoro di questi artigiani. La qualità ha un prezzo, si dice. E lo ha anche il tempo.

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