Con grande lentezza ma sembra che il tarlo dell’eurodubbio si stia facendo finalmente strada nelle menti degli italiani. Il sondaggio Ispo, commissionato dal Corriere della Sera e pubblicato ieri, presenta un dato abbastanza clamoroso. La ricerca indica che la sfiducia verso la moneta unica ha ormai contagiato la maggioranza degli Italiani dato che il 55% degli intervistati afferma di avere «poca» o «pochissima» fiducia nell’euro. Gli italiani che invece dicono di riporre «moltissima» fiducia in Bruxelles sono ridotti a percentuali residuali, con un misero 7%. I sondaggi vanno sempre presi con le molle ma non si può non notare come questo dato si allinei sostanzialmente ad analoghi sondaggi effettuati alcuni mesi fa in Francia dove emergeva che un numero maggiore di intervistati (45%) pensava che l’euro fosse un peso per l’economia nazionale rispetto a chi invece lo giudicasse un vantaggio (34%). Paradossalmente anche in Germania si ottengono risultati simili, con la maggioranza nei sondaggi che vedrebbe con favore un’uscita della propria nazione dall’euro per riprendere il mai dimenticato marco (54% secondo un’indagine commissionata dal periodico Stern). Le motivazioni dello scetticismo sono probabilmente molto diverse tra i diversi Paesi ma la tendenza appare ormai più che consolidata e, vista l’incredibile sequenza di errori clamorosi e di politiche masochistiche messe in atto nell’eurozona dall’insorgere della crisi greca a oggi, c’è forse da stupirsi che i numeri non siano assai più accentuati.
Certo, è ancora fortissimo l’horror vacui, la paura dell’ignoto che i tecnocrati che hanno progettato quest’Europa calata dall’alto sono stati abilissimi a instillare nella gente. Solo con la paura irrazionale si spiega infatti un altro dato del sondaggio Ispo dove il 65% si rende conto che l’introduzione dell’euro ha portato più svantaggi che vantaggi ma il 60% ancora pensa «che non si debba tornare indietro». Irrazionalità pura, sindrome di Stoccolma (quella che porta il sequestrato a pensare bene del sequestratore), chiamiamola come vogliamo ma la verità è questa: riconosciamo il male ma abbiamo paura di liberarcene. L’apocalisse del resto era già stata predetta a chi ai tempi si rifiutò in modo lungimirante di abbandonare la propria sovranità monetaria.
Nulla di male invece è accaduto a Svezia, Danimarca o Inghilterra che, anzi, pur avendo un’economia molto più sensibile (in negativo) delle altre alle turbolenze finanziarie, in questo momento è persino vista come un «porto sicuro» per gli investimenti. Quanto potranno andare avanti le popolazioni d’Europa a vedere solo il bastone e nessuna carota perché le carote vengono mangiate tutte dalla Germania? Si noti che i tedeschi «mangiano» per meriti loro, sia chiaro, però anche il peso massimo allenato che vince contro il mingherlino lazzarone lo fa per merito suo, ma non significa che l’esito non fosse scontato sin dall’inizio anche se il mingherlino avesse passato in palestra i suoi giorni. Quando si varò la moneta unica lo scambio sembrava equo: da una parte si lasciava mano libera e competitività agevolata alla Germania e alle economie più forti per invadere i nostri mercati, dall’altra ci garantivamo un tasso di interesse passivo sul nostro debito pubblico notevolmente più basso. Scelta clamorosamente anti-impresa e pro-Stato ma che, vista l’entità del debito, poteva anche essere comprensibile. Adesso che il giocattolo si è rotto (anche se la Bce ultimamente sta almeno provando a usare la colla invece dello sputo) dove sono i vantaggi?
Tutta la competitività alla Germania e per noi tassi reali da pagare mai visti? Si parla di tasse, si parla di liberalizzare questa o quella categoria ma il silenzio sulle cause profonde della crisi dell’euro continua.
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