«Quella lista?Potrebbe essere inutilizzabile»

Maisto: è una prova raccolta con modalità al di fuori di ogni procedura consentita

Con Guglielmo Maisto, avvocato e professore universitario di diritto tributario alla Cattolica, fondatore di uno dei più importanti studi di fiscalisti italiani con sedi a Milano, Roma e Londra, cerchiamo di fare un primo punto giuridico sulla vicenda dei conti segreti recuperati dal Liechtenstein. Sembra che tutto nasca da uno scambio di informazioni spontaneo dell’amministrazione finanziaria tedesca nei confronti di quella italiana. Le indiscrezioni di stampa dicono che le informazioni sono state recuperate dai tedeschi con l’acquisto per circa 4 milioni di euro di un dvd ceduto da un ex dipendente della più importante banca del Liechtenstein. Una procedura piuttosto insolita...
«La disciplina convenzionale e comunitaria sullo scambio di informazioni tra diverse amministrazioni sembra prescindere dalla ritualità e dalle modalità di acquisizione dei dati nello Stato estero, soprattutto quando quest’ultimo provvede alla trasmissione dei dati e delle notizie spontaneamente. Dunque l’amministrazione finanziaria italiana potrebbe ritenersi legittimata a utilizzare gli elenchi che arrivano per il tramite della procedura prevista nel trattato fiscale italo-tedesco e della direttiva comunitaria che disciplina lo scambio di informazioni tra gli Stati membri dell’Unione europea».
Perché usa il condizionale?
«Perché nel nostro ordinamento c’è un principio generale per il quale quando una prova è raccolta calpestando i diritti più elementari dei cittadini essa non è utilizzabile».
Dove è prevista?
«L’articolo 191 del codice di procedura penale che prevede che le prove acquisite in violazione dei divieti stabiliti dalla legge non possono essere utilizzate. Questo principio però ha una valenza generale e opera anche in materie diverse da quella penale, come hanno stabilito sia la Corte costituzionale in una sentenza del 1973 sia le Sezioni Unite della Cassazione in una più recente pronuncia del 1996».
Il pagamento di un informatore che dietro compenso spiffera i nomi e conti segreti rientra in questa fattispecie?
«È una modalità di acquisizione delle prove che esorbita da tutte le procedure disciplinate dal legislatore sia ai fini penali sia ai fini amministrativi e fiscali».
Ma come hanno fatto allora i tedeschi a utilizzarla?
«Non so se e in che misura il diritto tedesco disciplini specificamente fattispecie analoghe. Qualora le informazioni fossero state acquisite in Italia in maniera simile, il principio dell’utilizzabilità delle sole prove legittimamente acquisite non toglie che si possa utilizzare un’informazione illegittimamente raccolta come spunto investigativo, sul modello delle “soffiate” che spesso originano complesse indagini. Probabilmente i tedeschi, che dalle notizie apparse sulla stampa avrebbero ottenuto le informazioni da parecchi mesi, prima di divulgare la notizia hanno iniziato un’attività istruttoria complessa. Hanno utilizzato le notizie come spunto investigativo e da questo sono partiti per svolgere tutta una serie di verifiche e controlli incrociati sulle persone che sono contenute nell’elenco. Insomma sono partiti da un’“imbeccata”, procurata in modo eterodosso, e hanno ricercato riscontri sui quali poi confezionare delle vere e proprie prove di evasione fiscale a carico di residenti tedeschi».
Il caso Liechtenstein si può dunque rivelare un flop per l’Italia?
«Non sono a conoscenza delle attività investigative in corso.

Certo è che se l’amministrazione finanziaria italiana non dovesse procedere all’effettuazione di ulteriori approfondimenti per individuare riscontri e conferme alle informazioni provenienti dal Liechtenstein, sulla falsariga di quanto sembrano aver fatto i tedeschi, potrebbe esporsi a censure da parte degli interessati sia sotto il profilo dell’inutilizzabilità delle informazioni stesse, sia sotto il profilo della loro inidoneità a fornire una solida e idonea prova dei fatti di evasione che saranno contestati».

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