Quella mostra che censura i fan italiani di Stalin

Interessante la mostra – appena aperta al Palazzo ducale di Genova – intitolata «Russia & Urss. Letteratura, arte, teatro. 1905-1940». Si tratta di un’efficace rievocazione dei mutamenti culturali avvenuti in Russia fra quelle due date. Ma la materia evocata si inscrive in una parabola – il passaggio dal tempo delle avanguardie a quello dell’arte di regime – che non si concluse affatto nel ’40, giacché giunse al suo punto estremo nel ’53, l’anno della morte di Stalin. Il quale proprio negli ultimi anni della sua vita realizzò compiutamente il suo modello di Stato totalitario anche nel campo delle attività culturali. Perché dunque fermarsi al ’40?
Ignoro il motivo per cui i curatori della mostra – Giuseppe Marcenaro e Piero Boragina – hanno preferito non andare oltre. Ma so che così hanno potuto evitare di occuparsi del potente contributo che fra la fine degli anni Quaranta e la morte di Stalin quell’armata di agit-prop che fu il reparto intellos del Pci (da Togliatti fino all’ultimo dei suoi alunni) diede alla diffusione del mito dell’assoluta superiorità dell’Urss non soltanto nell’economia, nell’industria e nelle istituzioni politiche e sociali, ma anche in tutte le attività dello spirito: scienza, filosofia, arte, poesia, letteratura, musica, spettacolo.
Ecco, fra gli innumerevoli testi analoghi che sarebbe possibile citare, quattro piccoli esempi dello zelo con cui quei missionari del pensiero e dell’arte in salsa bolscevica esercitarono in quegli anni il loro magistero.
1. «Che c’è di male se in Russia la classe operaia, attraverso l’avanguardia consapevole che la dirige, richiama studiosi e artisti al contatto con la vita reale come si svolge in una società che si sta rinnovando; indica loro come modello il nuovo tipo di umanità che in questa società si viene creando; esprime il proprio giudizio negativo per le forme di cultura e di espressione artistica che a questa nuova umanità ripugnano?» (Palmiro Togliatti, Rinascita, maggio 1949).
2. «Tutti gli studiosi seri e onesti hanno unanimemente reso omaggio alla profondità degli scritti di Stalin sul tema “Il marxismo nella linguistica”». (Lucio Lombardo Radice, l’Unità, 21 dicembre 1950).
3. «Avremmo voluto che Picasso ci avesse dato un ritratto di Stalin da vedere negli anni futuri attaccato a un chiodo, nelle miniere, nelle capanne, nelle officine, nei nostri studi». (Renato Guttuso, l’Unità, 4 aprile 1952).
4. «L’opera di Stalin è opera liberatoria da qualunque oppressione: da quella che fa l’uomo schiavo della fame e della fatica a quella che lo fa strumento e oggetto di rovina». (Concetto Marchesi, Rinascita, febbraio 1953).
5. «Il senso della grandezza della vita sovietica investe le creazioni di tutti gli artisti, ispira perennemente pittori e scultori, musicisti e scrittori,. Nella gigantesca opera creativa degli artisti sovietici non vi è posto per il compiacimento esteriore e formalistico e per le stupidità raffinate ed ermetiche» (Paolo Ricci, L’Unità, 30 giugno 1953).
Cari Marcenaro e Boragina: quando la farete una mostra sull’idiozia del kultur-stalinismo all’italiana?
guarini.

r@virgilio.it

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