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A quella velocità anche l’acqua diventa cemento

nostro inviato a Palermo

Se muori, quando un aereo ammara a 150-170 km l’ora, muori perché non hai avuto fortuna. Muori perché sei troppo vicino al punto in cui la carlinga si spezza, e una lamiera ti ferisce a morte. Muori perché ti si spezza una gamba, e non riesci a trascinarti all'esterno. O se pure ci riesci hai altre fratture che ti impediscono di mantenere in acqua un assetto adeguato. E allora affoghi. Ma il più delle volte, spiega il medico legale Paolo Procaccianti, che ieri ha eseguito le autopsie sui corpi martoriati delle vittime, muori per quella che chiamiamo «concussione cerebrale». Vuol dire che l'impatto è talmente forte che anche il cervello, al pari degli altri organi interni, viene proiettato in avanti a velocità folle. Come se il cervello, dentro la scatola cranica, sbattesse come un dado dentro due mani chiuse a coppa.
«Questo - dice Mario Re, primario di rianimazione al Civico di Palermo - disorienta la persona, oscura le connessioni della mente. Di fatto impedisce di reagire, di azionare i muscoli, di respirare. Ecco perché si annega». Molti dei passeggeri morti sull'Atr72 non ce l'hanno fatta per questo. Altri sono morti perché, avendo slacciato la cintura di sicurezza, sono stati sbalzati violentemente in avanti, andando a sbattere. Ma anche tenere allacciata la cintura può provocare traumi interni violenti, scatenando emorragie o provocando fratture al bacino e alla colonna vertebrale. Chi scrive vide anni fa i passeggeri di un charter diretto a Santo Domingo e precipitato su un'isola delle Azzorre. In quel caso l'aereo viaggiava ancora a una velocità superiore ai 300 chilometri orari, e la cintura di sicurezza tagliò letteralmente in due molti passeggeri.
«Purtroppo - dice il dottor Procaccianti - quando si va a sbattere a quella velocità sul mare, l'acqua si trasforma in cemento armato». Eppure, 23 persone si sono salvate. «Non necessariamente perché occupavano una posizione meno critica a bordo, ma solo perché non sono svenuti. E hanno reagito», conclude Mario Re. Fortuna, cioè.

Come sempre.

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