Ma chi l’ha detto che siamo tutti preoccupati per la crisi. C’è un mondo che gode da matti, e da matti scrive e fa i titoli sui giornali, come quello uscito ieri in prima pagina su Liberazione: «E il vecchio Marx sogghigna: capitalisti, vi avevo avvertito...». Per il giornale di Rifondazione comunista «il faccione barbuto del buon vecchio Marx scruta la crisi dall’alto, compiaciuto», e dice «Vedete che avevo ragione?». Ma certo che «aveva ragione», scrive Liberazione, e «gli analisti seri lo sanno».
Ci sarebbe da discutere su quante possibilità abbia Marx di vedere il tutto «dall’alto» piuttosto che dal piano di sotto, ma la misericordia di Dio è infinita e non si sa mai. Meno dubbi abbiamo però sulla «serietà» degli analisti che ora danno ragione a Marx, perché per quanto siano sciagurati i finanzieri di Wall Street, e per quanto possa essere fragile e imperfetto il capitalismo, il nostro mondo spaventato e in crisi resta comunque infinitamente migliore di quello miserabile prodotto dalle ricette economiche del buon vecchio barbuto.
Infatti perfino tra questi orfani del comunismo che ora godono per la crisi c’è chi ha un po’ di vergogna a proporre il socialismo marxista come medicina: e allora pur di dire che il capitalismo fa schifo arriva a rimpiangere Hitler e Mussolini, come ha fatto ieri il manifesto addirittura nell’editoriale, firmato da Marco d’Eramo. Testuale: «L’unico modo per far ripartire l’economia sarebbe creare lavori reali con stipendi reali, cioè varare in tutto il mondo grandi programmi di lavori pubblici, come fece non solo il New Deal di Roosevelt (la Tennessee Valley Authority), ma anche la Germania nazista di Schacht (il sistema autostradale tedesco), l’Italia fascista di Mussolini (le paludi pontine)...». Ah, cari compagni: i bei tempi del Terzo Reich.
I crolli delle Borse sono una manna per tutto un mondo che si sentiva emarginato e bocciato dalla storia, e che ora può rialzare la testa non perché abbia vinto la guerra, ma perché il nemico ha perso una battaglia. Che il crac sia opera di finanzieri deficienti o mascalzoni è un’ipotesi che non viene presa neppure in considerazione, così com’è scartata a priori l’idea che il capitalismo possa essere stato applicato male, o anche essere imperfetto come imperfette sono tutte le cose umane. No, è tutto il sistema che è sbagliato. «La crisi conferma la profezia di Brecht: fondare una banca è più criminale che svaligiarla», dice Oliviero Diliberto del Pdci, che non ha dubbi: «Il capitalismo è una truffa». E Rossana Rossanda: «Avevamo ragione nel dire che il neoliberismo è insensato e alquanto criminale».
I comunisti alla riscossa forse non si rendono conto che sono i primi difensori degli odiosi pescecani che speculazione dopo speculazione rischiano di portarci sul lastrico. Dando la colpa al sistema, di fatto escludono responsabilità personali. Di più: il sistema che mettono sotto accusa non è la finanza creativa, l’economia di carta, il denaro che spunta dal nulla e nel nulla sparisce: no, la condanna è per il capitalismo intero. «La disfatta del mercato», era l’editoriale di ieri del manifesto, che qualche giorno fa aveva titolato a tutta pagina «È il mercato, bellezza». «Il mercato ha fallito: inutile distinguere fra mercato buono ed eccessi speculativi», scrive Galapagos. E Riccardo Petrella, sempre sul manifesto: «Il sistema capitalista ha dimostrato di essere strutturalmente instabile... rovinoso... distruttore... autoritario e arrogante». La crisi odierna è «una buona notizia», e chi se ne frega se tanti poveracci perdono i loro risparmi, erano schifosi servi del padrone: «La ricchezza accumulata dai depositanti nelle banche», ci spiega Galapagos sul manifesto, era «frutto di comportamenti da formichine di moltissimi italiani insicuri del futuro e più spesso di evasione fiscale».
Il meccanismo mentale non è tanto diverso da quello che porta il tifoso dell’Inter a godere per l’eliminazione del Milan e viceversa. Sono cose, insomma, di cui dovrebbero occuparsi gli psichiatri. Ma in certe dichiarazioni gioiose c’è anche, purtroppo, qualcosa di molto profondo e radicato nella cultura comunista.
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