Quando la fiction sbatte il muso contro la realtà - non vogliamo proprio dire che la ispira direttamente - finiscono per succedere cose bizzarre. Spuntano deliri e lucide follie. E spuntano code di paglia lunghe chilometri. Perché la fiction è un fiume carsico che ha dei rigurgiti. E anche la coscienza, a volte.
Il fatto è che negli ultimi tempi, tra film e romanzi, tra siti antagonisti e premi letterari dedicati a racconti sulla «Notte in cui morì Silvio Berlusconi», la campagna d’odio contro il premier ha subito un’escalation pericolosa dalla quale tante voci autorevoli, Napolitano in testa, hanno più volte messo in guardia. Il clima avvelenato si è creato anche grazie all’attivismo di questa intellighenzia, una pubblicistica ossessionata dal Nemico da abbattere a ogni costo, che ha messo nel mirino il Cavaliere come Male assoluto.
Chi ha vissuto i tristi anni di piombo ricorderà che questo terreno fertile veniva chiamato «brodo di coltura» - di cultura non è il caso di parlare - nel quale attecchirono le azioni più efferate. Si dirà: ma ai tempi del terrorismo, dietro i cosiddetti cattivi maestri esistevano dei movimenti, la guerriglia urbana, la clandestinità. Oggi non è così, l’assalitore Massimo Tartaglia è da dieci anni in terapia a base di psicofarmaci. Certo, è diverso. Ma fino a un certo punto: andate su Facebook a vedere il sito dei suoi fan che lo vogliono «santo subito» e vi accorgerete di quanti tifano per il quarantaduenne psicolabile di Cesano Boscone. Saranno gli stessi che solo un mese fa - erano già dodicimila - si sbizzarrivano nella community intitolata «Uccidiamo Berlusconi», architettando i modi più cinici e truculenti per farlo fuori?
Per tornare all’attualità, ieri l’ineffabile scrittore (?) Andrea Salieri, autore dell’Omicidio Berlusconi, una cosetta da niente che ha ispirato Ho ammazzato Berlusconi, pellicola di Gianluca Rossi e Daniele Giometto, ha detto, senza ridere, che l’aggressione di Massimo Tartaglia è «un caso montato ad arte. È stato il Pdl». Per Salieri, la mira dell’attentatore dipende dalla tessera di partito che ha in tasca: «Penso che uno di sinistra - ha tentato di spiegarsi - gli avrebbe sparato. Non l’avrebbe mai intaccato, non farebbe una sciocchezza del genere». Il senso del discorso di Salieri è che sull’episodio «Berlusconi creerà consenso» e «il Pdl marcerà a lungo». Insomma, farneticazioni. Si direbbe prodotte dalla delusione per l’esito troppo poco cruento dell’attentato.
Chiunque abbia visto i filmati dell’agguato di Tartaglia nella ressa di piazza Duomo, si sarà accorto di quel braccio che si leva in mezzo alla folla prima di lanciare la statuetta. Sarebbe bastato uno strattone, un piccolo spostamento del Bersaglio-Berlusconi e, anziché lo zigomo e il labbro, la miniatura del Duomo avrebbe potuto colpire un occhio, una tempia, fare danni peggiori, addirittura risultare letale. Ecco perché il calcolo dell’irriducibile Salieri è tranquillamente archiviabile alla categoria delirio.
Alla voce imbarazzo o ipocrisia va invece iscritta la reazione dell’autore del più noto Shooting Silvio («Sparate a Berlusconi»), produzione indipendente che nel 2006 conquistò la ribalta del Festival di Berlino e poi la distribuzione in 150 sale italiane. «Il mio era un film grottesco, iperrealistico, con un finale aperto», si difende Berardo Carboni, distinguendo tra il «diritto alla critica e alla contestazione» e l’azione violenta che gli ha «fatto molta impressione». E meno male.
Nel suo film, un giovane scrittore di nome Kurz chiede aiuto agli amici per pubblicare un libro che racconti come e perché far secco Berlusconi.
Ma di fronte al rifiuto dei potenziali collaboratori, Kurz si convince che il modo migliore per affinare la trama sia proprio rapire e assassinare il premier. A dirla tutta: robetta, spazzatura della più imbarazzante. Per la quale non ha nemmeno senso scomodare il titolo di «cattivi maestri». Semmai quello di patetici supplenti.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.