Franco Ordine
nostro inviato a Milanello
Stasera, come sempre, il Milan mette il piede nel suo torneo preferito. Gli capita da ventanni e non è una civetteria. Forse è una vocazione esibita dai primi giorni dellera Berlusconi, testimoniata da un dato su tutti, le sette finali in 18 anni di coppa Campioni che sono un fiore allocchiello del club. Non appassisce mai. Stasera, come sempre nella vita dellultimo Milan, la Champions league conta più di ogni altro traguardo, scudetto compreso dove lhandicap degli 8 punti orienta lo scontato pronostico. Lo testimoniano, in modo solenne, le parole di Paolo Maldini, capitano di lunghissimo corso, restituito allefficienza fisica (non ancora piena) e capace, nei giorni scorsi, di uscire allo scoperto con una serie di staffilate indirizzate nei confronti di Blatter, Platini e Shevchenko. «È il nostro obiettivo principale» scolpisce così le motivazioni di Milanello in una competizione che smeriglia il primato, intatto, dei rossoneri, primo nel ranking Uefa.
«Se da cinque anni siamo i migliori in Italia e in Europa, se da cinque anni arriviamo, puntualmente, davanti a Juventus e Inter, con arbitri stranieri, vuol dire che abbiamo un pregio e un difetto. Il pregio è che forse siamo fatti per giocare in Champions, il difetto è che ci è mancata la costanza per imporci anche in campionato» la risposta che comprende tutto, anche moggiopoli. Ma pure qui, in coppa Campioni, dove il Milan può sbandierare il primato, cè un nervo scoperto, una ferita che sanguina ancora, aperta da Johansson, presidente dellUefa e autore della motivazione con cui il Milan venne ammesso al turno preliminare di Champions dopo la sentenza della Corte federale. «Ho provato una grande amarezza per quelle parole fuori luogo. Anche perché seguivano di alcuni mesi, altre espressioni, di segno diverso, scritte dallo stesso Johansson e indirizzate al Milan dopo Istanbul per riconoscergli il comportamento leale e sportivo tenuto in occasione di una sconfitta» la scudisciata di Maldini pronto a dare voce ai risentimenti della sua parte. Non certo ai sospetti di una vendetta trasversale dellUefa attraverso gli arbitri di cui si ciancia. «Non temo niente, credo e spero di avere ragione» taglia corto. E non solo perché si fida dellinglese Riley, il fischietto arrivato a San Siro lanno prima per lesordio col Fenerbahce. Meglio non dare corpo ai fantasmi.
Se il Milan rimette piede nel torneo preferito, non può trascurare la concorrenza, rappresentata dal Barcellona, «il più forte in circolazione» concordano Ancelotti e il capitano, e nemmeno dimenticare gli stenti patiti nellavvio di campionato contro la Lazio. «LAek somiglia alla squadra di Delio Rossi: allora ci siamo allungati troppo subendo qualche contropiede, qui dovremo stare più attenti e più corti» è lavviso ai naviganti che sembra voler mettere al sicuro i santoni Nesta e Maldini e invece è un richiamo energico nei confronti della squadra al completo e dello stesso centrocampo, chiamato a proteggere meglio il valico centrale della difesa milanista. «Io sono a disposizione» sostiene sempre Paolo Maldini che torna sul palcoscenico continentale dopo quella corsa disperata nella sfida con lo Schalke 04 che gli valse un gravissimo infortunio muscolare. «Ebbi altri problemi» ricostruisce linteressato che deve aver guadagnato, con lintervento chirurgico deciso dopo il derby di ritorno, una migliore efficienza del ginocchio ballerino. «Dipende da lui se questa sarà la mia ultima Champions league oppure no» sospira alla fine Paolo Maldini. E più che una resa sembra la sfida, ennesima, alla natura che lo priva da anni di cartilagine torturandolo con dolori feroci. «Sono disponibile per la seconda gara consecutiva» informa il capitano ma Ancelotti, sul punto, non sembra molto interessato. Perché la strategia del Milan, partito di gran carriera per superare lo scoglio inatteso del turno preliminare, è semplice: utilizzare il turn-over per avere il gruppo sulla stessa traiettoria di condizione.
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