«Ma questa Olanda non è nazionalista»

Per il politologo olandese Hans Hillen gli elettori hanno solo chiesto più cautela nella «corsa» dell’Europa verso l’Est

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Elo Foti

nostro inviato a L’Aia

«Chi cade deve sapere rialzarsi», «Dalle bocciature c’è sempre da imparare». Sembrano le massime dei nostri nonni e bisnonni e invece sono il distillato dell’analisi di Hans Hillen, politologo, uno dei componenti del Gruppo di consiglieri politici del Cda, il Partito democristiano olandese del primo ministro Jan Peter Balkenende, il cui governo è uscito sanguinante e barcollante dal referendum di mercoledì sulla Costituzione europea: netta la vittora del No sul Sì alla ratifica propugnata dal premier e dai suoi alleati. In seno al Cda ci sarà un accurato esame delle ragioni della sconfitta, e non solo in questo partito. Sul futuro del Paese, Hillen esprime ottimismo: «Il nostro voto dell’altro ieri - ci dice - non è antieuropeista. Abbiamo soltanto voluto arrestare una corsa che punta a bruciare le tappe. La crescita deve essere graduale. I governi e i Parlamenti sembrano lasciarsi trasportare da un Orient-Express che procede a tutta velocità, un fischio impazzito verso l’Est. I cittadini, invece, restano con i piedi per terra, vedono questo processo con altri occhi: loro, più dei politici, sono a contatto quotidiano con il caro-prezzi e con gli inconvenienti causati dall’immigrazione incontrollata».
Parole banali, da Bar Sport, diremmo in Italia. E forse è proprio la mancanza di un linguaggio semplice e di una condivisione dei problemi di ogni giorno ad allargare pericolosamente il fossato tra eletti ed elettori. «Il nostro errore - dice Hillen - è di esserci illusi che parole e sorrisi bastassero. Bocciando il Sì, noi non abbiamo voltato le spalle al futuro ingresso della Turchia, ancora lontano, ma alla Polonia, già fatta entrare. La mano d’opera e i prodotti di quel Paese trovano la via libera per l’Olanda e si offrono a costi e prezzi inferiori. Ci arrecano più danno i polacchi oggi di quanto forse ce ne arrecheranno un domani i turchi».
Hillen, cinquantottenne, è stato per dodici anni deputato del Cda. Ha ricoperto incarichi nelle Commissioni della Difesa e degli Affari esteri. Cattolico, prima di entrare in Parlamento, aveva lavorato come inviato di politica interna per la Televisione di Stato. Considerato esponente dell’ala conservatrice del partito, siede ora nel “pensatoio” democristiano. Ritiene che il governo faccia bene a respingere le richieste di dimissioni avanzate dal piccolo, ma agguerrito Fronte del No. «Anche il maggiore partito di opposizione, i laburisti del PdvA, e i sindacati erano per l’approvazione della Magna Charta».
Un No che va dunque anche contro i sindacati, il cui consiglio non è stato seguito. Il trionfatore del referendum è il più convinto sostenitore del no, Geert Wilders, unico rappresentante del Gruppo che porta il suo nome in Parlamento. La vittoria di Wilders e dei piccoli partiti del No, commenta Hillen, delinea il nascere di un nuovo modo di fare politica. «Si va formando un cittadino europeo, il quale però mantiene le proprie radici. Come dicevo prima, l’olandese non è antieuropeo, ma è prima olandese e poi europeo. E ciò credo che valga anche per gli abitanti degli altri Paesi dell’Unione.


«Pertanto - continua il politologo - tenendo conto delle future realtà derivanti dal processo più o meno accelerato dell’integrazione e dall’irrompere della componente musulmana in Europa sarà necessario che i partiti del nuovo millennio elaborino strategie diverse e si adeguino alle trasformazioni in atto. Che possono essere controllate oppure no. Anche questo è il messaggio che viene dal No olandese e dal No francese. E non dimentichi che i francesi sono molto più nazionalisti di noi».

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