Qualcuno, sulla scorta delle «mandrakate» di Febbre da cavallo e con un ironico tocco di dialetto genovese, le ha già ribattezzate «ra-belinate». Sono le trovate elettorali di Renzo Rabellino, purosangue moderno della gonzo-politics: due parti di cialtroneria, una di furbizia, due gocce di mancanza di scrupoli e il cocktail è pronto. Da servire con unolivetta di polemiche.
Rabellino, vecchia volpe sabauda a suo agio nel sottobosco dei consigli, da quelli di condominio a quelli regionali, a suo modo è un genio. Un incrocio tra Totò falsario e quei tarocchi tipo i jeans Lewis o le scarpe Naik. La sua peculiarità, infatti, sta nellideare liste civetta con lintento di gabbare elettori disattenti a colpi di omonimie, simboli simili e altri specchietti per allodole.
Lultimo artificio, che finirà in tribunale, è cosa recente. Nella compilation di gruppuscoli che sostengono la sua candidatura alle Regionali piemontesi, infatti, Rabellino ha pensato bene di infilare una sequela di tentativi di truffa da far impallidire i cinesi. Non solo «No tav» o «Forza Toro», ma anche la «Lista Cota - Pdl». Dove però Cota è il cognome della signora Nadia, del Patto dei liberali: Pdl, appunto. Sotterfugio che ha causato la rabbia del leghista Roberto Cota, a sua volta in corsa per diventare governatore.
Ma gli strali su Rabellino non piovono solo dal centrodestra. Anche i grillini sono scesi in piazza per un «No Rab» day, in cui contestano allasso del patchwork elettorale lutilizzo di un altro simbolo («Lista del Grillo parlante - Movimento No Euro») in cui «Grillo» è scritto a caratteri cubitali; la destra lamenta che il simbolo di «Alleanza Torino Nuova Libertà» è simile a quello di An; la Lega Nord fa lo stesso per la «Lega Padana» e i Verdi idem contro lorsacchiotto di «Verdi verdi», ennesimo logo-esca della galleria.
Da registrare anche il fiorire su «Facebook» di appelli anti-Rabellino: «Le firme raccolte per la ricostruzione del Filadelfia (lex stadio storico del Torino, ndr) e per labolizione delle strisce blu e del canone Rai, sono state invece usate per candidarlo», si denuncia. Voci forse inconsistenti, dato che come ha svelato La Stampa, la sua lista è stata validata da un consigliere regionale di Sinistra ecologista. E pazienza se Rabellino alle Europee 2009 si è presentato per la Fiamma tricolore, molto poco «sinistra».
Insomma, siamo di fronte allunica, simpatica canaglia in grado di coalizzare il fastidio di tutti gli avversari. Perché tra vecchine langarole molto presbiti, tifosi granata molto incazzati e astigiani nostalgici del «Piemònt libèr», qualche migliaio di voti finirà di sicuro in questa raccolta indifferenziata di refusi elettorali. Il problema è che, in questi esercizi di stile, Rabellino è il maestro incontrastato da anni. È lequivalente sfacciato del marchio della Adidas con quattro strisce invece di tre.
Riavvolgendo il nastro della sua carriera, si arriva alle Politiche 2008, quando le carte bollate riguardarono Beppe Grillo. Anzi, riguardarono due Beppi Grilli. Il comico genovese e il 54enne Giuseppe Grillo detto Beppe, nato a Bra, che il nostro incontrò a una raccolta firme e candidò a premier tra le proteste generali. Con secondo in lista tale Pericle Barlusconi. «Beh? - se ne uscì tra lo stupito e il divertito -. Cè qualche legge che vieta a omonimi e quasi-omonimi di candidarsi? E poi noi da anni ripetiamo il 99% di quanto sostengono i grillini». E a chi minacciava querele, esposti e denunce, sornione replicava difendendo la sua «Operazione Alias»: «Non facciamo niente di male, cerchiamo visibilità. È giuridicamente giusto vietare lutilizzo abusivo del nome di Grillo. Ma noi ne candidiamo uno: nel mondo sono in 15mila a chiamarsi così». Miracoloso.
Daltronde non cè miglior scuola della pratica. Perché Rabellino, fondatore della Lega Nord poi espulso per «deviazionismo» nel 93, questo giochino lha affinato negli anni. Nel 97 si candidò a sindaco di Torino con il movimento «Piemonte nazione», scippando qualche voto ai vecchi compagni leghisti. Nel 2001, invece, fece di meglio. Con il suo «Movimento autonomista», pescò un giornalista lombardo, Gianfranco Rosso, e lo piazzò come candidato sindaco. Casualmente, luomo scelto da Forza Italia per sfidare Sergio Chiamparino si chiamava Roberto Rosso. E anche in quel caso, tra simboli identici e slogan quantomeno subdoli tipo «Rosso sindaco», finì in tribunale. Per tacere di Massimo Calleri, sindaco di Sambuco, nel Cuneese, a oggi lunico primo cittadino del Movimento No Euro: si presentò da esterno, venne eletto con 4 voti su 5 votanti e ora ha come vice proprio Rab.
Insomma, qui siamo di fronte a un sofista della democrazia, un docente della gabola, un prestigiatore del gioco delle tre schede. E dunque lunga vita al Rab, giullare di corte della politica senza autoironia.
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