Le radici ideologiche del "prodismo"

Viene al pensiero l’ipotesi che la fuoriuscita di Clemente Mastella dalla maggioranza sia giunta come il cacio sui maccheroni a Romano Prodi, che sentiva finito il tempo del suo governo dopo l’immondezzaio napoletano e l’oltraggio fatto al Papa. Troppo per impersonare il governo del Paese e associare il proprio nome a una degradata immagine dell’Italia, a cui ora egli vuole sottrarsi come uomo di governo. Dal potere oggi Prodi fugge, dopo avere occupato tutti i poteri che sono occupabili all’interno di spazi che contano. Ha realizzato la sistemazione delle banche italiane secondo l’interesse dei suoi amici, ha stabilizzato quel potere di fatto legato alla sua persona che gli ha permesso di sopravvivere alla fine della Dc. Se riuscirà a mettere la sua impronta sulle seicento nomine che il fedele amico Aldo Rovati ha ora nel suo cassetto, egli sa che avrà un posto nel potere reale italiano ancora tanto legato allo Stato, mediante un personale politico che a lui deve i posti che occupa. È stata una presa del potere che va oltre il ruolo delle istituzioni e si fonda sui poteri economici dello Stato e del governo.
Ma Prodi non rinuncia ad esercitare il suo controllo sul «prodismo» nel Partito democratico, a cui egli ha imposto, con la descrizione dell’Italia come un Paese di evasori fiscali e di corruzione politica, l’immagine del suo governo come il governo etico del buon costume. Egli ha delegittimato Berlusconi come rappresentante omogeneo del Paese e al tempo stesso di delegittimare il Paese come omogeneo a Berlusconi. Ciò spiega perché egli accetti che il suo governo sia fondato per principio sul dissenso degli elettori, lasciandone il costo politico ai partiti della maggioranza. Vuol mostrare che egli, Prodi, è differente dal suo Paese e che la maggioranza degli italiani e Berlusconi sono della medesima pasta. Quanto agli alleati di governo egli lascia a loro il compito di definirsi: egli definisce soltanto se stesso. Sentirsi l’uomo dell’Europa in Italia nel momento in cui il Paese appare come degradato agli occhi del mondo grazie all’impotenza e all’insuccesso della maggioranza di Prodi, non gli conviene: e perciò Prodi se ne va. Ma Berlusconi deve essere delegittimato e semmai deve essere diluito in un lento governicchio più blando di quello attuale, che conduca il Paese al 2009.
Da dove nasce il prodismo? Esso nasce da una contraddizione interna al mondo cattolico italiano, che potremmo esprimere con le parole di Papa Ratzinger: come divisione tra quelli che pensano il Concilio come evento unico rifondatore della Chiesa e quelli che lo pensano come continuità della Tradizione.
Prodi è del primo genere. E unisce nella sua persona l’eredità ecclesiale e politica congiunta di don Giuseppe Dossetti, che pensò al Vaticano II come un evento che mutava radicalmente la Chiesa e lo unì nel suo pensiero alla Costituzione repubblicana che fondava l’Italia come comunità dopo la crisi fascista. È questa ideologia politica che è stata alla base del prodismo e gli conferisce il suo carattere ideologico, capace di ispirare un odio teologico contro chi rappresenta il Paese che egli vuole negare. Si sperava che il veltronismo fosse la laicizzazione della sinistra, che la facesse uscire dall’immagine che Rosy Bindi così efficacemente incarna contrastando a un tempo il Papato reale e il Paese reale.

Prodi, fallito come governo, vuole rimanere come ideologo, con Arturo Parisi come braccio politico e la Bindi come figura ideale. Che fa il Partito democratico non prodiano? Entrerà nella realtà del Paese o rimarrà in questa ostilità con la realtà della Chiesa e del Paese che Prodi incarna?
Gianni Baget Bozzo
bagetbozzo@ragionpolitica.it

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