Il "razzismo" di chi specula sui morti

Oggi a Cernusco sul Naviglio si celebrano i funerali di Abdoul Guibrè, il ragazzo ucciso a sprangate una decina di giorni fa a Milano, e c’è da augurarsi che la cerimonia non sia occasione di altri incidenti, dopo quelli di sabato scorso scoppiati a Milano durante la manifestazione anti-razzismo. Soprattutto c’è da augurarsi che si mettano una mano sulla coscienza tutti coloro che, dal giorno dell’omicidio, stanno avvelenando il clima inventandosi un movente razzistico che non c’è; peggio, inventandosi una Milano razzista che non c’è.
Voglio essere chiaro: non sono fra coloro che ritengono il razzismo una balla propagandistica della sinistra o più in generale del politicamente corretto. L’intolleranza, a volte l’odio nei confronti del diverso, c’è. C’è perfino tra italiani di due paesi e anche quartieri confinanti: figuriamoci se non c’è nei confronti degli stranieri, e dei neri in particolari. Non sono neppure fra coloro che escludono del tutto le responsabilità di alcuni politici nel fomentare rancori verso chi viene da fuori: certe battute sui bingo-bongo e ancor di più certi comizi virulenti come alcuni sentiti nei giorni scorsi, scaldano le teste di chi in testa ha ben poco.
Però davvero non capisco come si possa, a più di una settimana di distanza, continuare a ignorare totalmente non solo le affermazioni della polizia ma anche quelle della magistratura, che hanno escluso il movente razzista. Domenica sul Corriere della Sera c’era una ricostruzione molto dettagliata e mi pare obiettiva dei fatti: la polizia ha trovato e sequestrato la mazza da baseball che gli amici di Abdoul impugnavano e brandivano contro i due commercianti-assassini, a loro volta armati di spranga; si è trattato di una rissa, scrive il Corriere, non di un agguato. Non c’è stato insomma un commando di milanesi emuli del Ku Klux Klan che intendevano punire e anzi ammazzare «uno sporco negro»; c’è stata una rissa scoppiata per futilissimi motivi, si era armati da tutte e due le parti, chi l’ha spuntata è gente con precedenti penali, è facile prevedere che sarebbe finita com’è finita anche se la vittima avesse avuto la pelle chiara. Questo non lo diciamo solo noi o il Corriere, lo dice anche il magistrato.
Eppure da giorni monta la versione del movente razzistico e fa impressione vedere - su Repubblica di ieri - un commentatore solitamente misurato come Mario Pirani scrivere che «il pubblico ministero Roberta Brera, nello stabilire che non c’entra nulla il razzismo nell’uccisione», deve essere stato «ispirato» dal vecchio detto meneghino «non sono io che sono razzista, è lui che è negro». Pirani si è spinto più in là, scrivendo che da questo detto è scaturito «il principio giurisprudenziale di diritto lombardo-veneto» che ha indotto il Pm a non contestare l’aggravante di razzismo. Non so di dove sia, Pirani: ma se ragionassi con il suo metro di giudizio direi che viene da un posto dove si respira un clima di razzismo anti-milanese, anti-lombardo e anti-veneto.


Quanta buona fede ci può essere in chi, pur di fronte all’evidenza dei fatti, continua a parlare di razzismo nell’omicidio di Abdoul? O nel regolamento di conti fra spacciatori nel Casertano? Forse che i casalesi non hanno mai accoppato dei bianchi, per gli stessi motivi di «concorrenza»?
Il razzismo è una brutta, bruttissima bestia. Però non è bello neanche speculare, per fini politici, su un povero morto; e aizzare un altro tipo di odio, non meno infame e pericoloso del razzismo.

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