Mondo

La razzista dell’Onu che accusa l’Italia di razzismo

La «paladina» dei diritti umani che accusa l’Italia di discriminare i Rom e di abbandonare in mare i clandestini? Una nemica viscerale di Israele, una sfegatata sostenitrice dell’aborto, con un controverso passato punteggiato di dichiarazioni accomodanti verso sanguinari dittatori e movimenti terroristici. Navanethem Pillay, alto commissario delle Nazioni Unite, che lunedì ha lanciato i suoi strali contro la Penisola, conosce bene il Sudan e il suo presidente, Omar al Bashir, rincorso da un mandato di cattura internazionale per crimini di guerra e crimini contro l’umanità nel Darfur. Eppure il 9 dicembre del 2008, desiderosa di non dispiacere al Paese africano, sottolineava compiaciuta che «la commissione d’inchiesta non ha riscontrato alcuna politica genocida in Sudan». Dunque: italiani cattivi e Al Bashir buono. Ma dare voti e cogliere differenze non è evidentemente la specialità dell’Alto Commissario. Ieri nel discorso d’apertura del Consiglio Onu sui diritti umani a Ginevra la Pillay ha citato ben 47 Paesi in cui i diritti umani sono a rischio. Nello stesso calderone sono finite le violenze contro le minoranze nelle province cinesi dello Xinjiang e nel Tibet, la situazione delle donne in alcuni Paesi arabi, quella dei Rom in Europa e in Italia oltre che i respingimenti nel Mediterraneo.
Ma il meglio di sè Navanethem Pillay l’ha dato come co-organizzatrice (il suo staff è di mille persone con una spesa annua di 120 milioni di dollari l’anno) della cosiddetta Durban 2, la discussa conferenza sul razzismo che lo scorso aprile a Ginevra ha ospitato gli sproloqui del presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad. A Ginevra Israele l’ha scampata per un pelo, ma il sionismo è diventato sinonimo di razzismo e di imperialismo e i palestinesi le solite povere vittime del nemico aggressore. E non a caso la Pillay è stata bollata dalle organizzazioni non governative vicine ad Israele come «il pericoloso commissario per i diritti umani». In compenso ad Ahmadinejad è stato concesso di fare la sua tirata anti israeliana e negazionista. La signora, in prima fila, non si è alzata per uscire dall’aula in segno di protesta, come gli ambasciatori di diversi paesi. Più tardi ha finito per condannare il discorso del presidente iraniano, ma ha chiuso rigorosamente gli occhi di fronte ad altre situazioni imbarazzanti. Come l’ambasciatrice libica che ha tolto la parola alla vittima delle torture o il rappresentante cubano che non aveva condannato neppure Saddam quando gasava i curdi. In realtà pare proprio che Navi Pillay con l’Italia ce l’avesse fin da aprile, quando il ministro degli Esteri Franco Frattini, insieme a Stati Uniti ed altri paesi europei, ha boicottato l’appuntamento di Ginevra. Nel suo rapporto reso noto lunedì si fa esplicito riferimento «alla conferenza di Durban 2» per accusare l’Italia «di discriminazione e trattamento degradante nei confronti dei Rom».
Un interesse personale la Pillay ha invece su un’altra sanguinosa vicenda che ha occupato le cronache internazionali negli ultimi mesi: la guerra civile nello Sri Lanka. Lei, sudafricana di Durban, ha origini tamil. E visto il tenore dei suoi interventi i media di Colombo l’hanno apertamente bollata come «amica dei terroristi». Nella recente disfatta delle Tigri, i tamil in armi che puntavano alla secessione, sono morti dagli 8 ai 20 mila civili. La responsabilità ricade sui governativi, ma anche sulle Tigri che usavano i civili come scudi umani. In questo caso però lo stesso Consiglio dei diritti umani dell’Onu, alla quale la Pillay fa riferimento, ha stoppato ogni tipo di inchiesta. Meglio guardare da un’altra parte. Nel suo passato ci sono anche otto anni trascorsi come giudice, e poi presidente del tribunale per il genocidio in Ruanda di Arusha. Difficile parlarne come di un successo eclatante. A causa delle lungaggini procedurali e di problemi politici ad oggi risultano condannati solo 29 responsabili. Altri 11 processi sono in corso, 14 imputati sono in attesa del dibattimento e 13 risultano ancora latitanti. Grazie alle lentezze della gestione Pillay e le critiche sollevate al tribunale dallo stesso governo ruandese, la corte chiuderà nel 2010. E non sarà in grado di concludere tutti i procedimenti.
Prima di essere nominata nel 2008 all’attuale incarico dal segretario generale Ban Ki-moon gli Stati Uniti avevano espresso forti dubbi sul ruolo super partes della Pillay. L’Alto commissario per i diritti umani è uno dei membri fondatori dell’organizzazione non governativa Equality now famosa per una campagna estremista pro aborto soprattutto in Polonia e Nepal. In passato la Pillay aveva pure criticato l’articolo della costituzione sudafricana sul «diritto alla vita», mentre gli Usa temono che l’Alto commissario sia favorevole ai cosiddetti «principi di Yogyakarta» di cui si discute all’Onu.

Principi che se diventassero universali garantirebbero i matrimoni omosessuali, l’adozione per i gay e l’intervento finanziario dello stato per il cambio di sesso.

Commenti