Economia

Il «re dei rubinetti» ha conquistato anche l’America

La Vir di Valduggia, nei pressi di Vercelli, è leader mondiale, insieme con il polo bresciano, nella progettazione e nella produzione

Produce rubinetti e valvole per tutti i gusti. Meglio, per tutte le esigenze. In bronzo e in ottone, in metallo, in plastica e in polipropilene, a saracinesca e a sfera. Valvole per l'irrigazione e il giardinaggio, valvole per la distribuzione di acqua potabile e quindi in grado di non rilasciare sostanze tossiche come il piombo, lo zinco e il nichel, valvole capaci di vincere la sfida contro il gelo, valvole che consentono un elevato numero di combinazioni, valvole di bilanciamento e quindi molto adatte nella totalità delle reti di distribuzione in quanto rendono possibile il buon funzionamento dell'impianto evitando perdite di ogni genere. Quasi undici milioni di pezzi all'anno, davvero una montagna di rubinetti e valvole. Ma Savino Rizzio li vede con l'occhio decisamente amorevole di chi li mette al mondo e dice in tono che ha del poetico: «Noi siamo il Cartier delle valvole».
Con il polo bresciano. Savino Rizzio è il fondatore della Vir, azienda leader nella progettazione e produzione di queste valvole e situata a Valduggia, provincia di Vercelli ma diocesi di Novara, da cui si snoda per una quindicina di chilometri, ai bordi del lago d'Orta e sino a San Maurizio, quel distretto piemontese che, unitamente al polo bresciano, produce la quasi totalità di valvole e rubinetterie italiane. In questa zona nord-orientale del Piemonte, famosa secoli fa per le sue fabbriche di campane, ci sono oltre cento aziende specializzate nel fare valvole. E un adulto su due lavora con i rubinetti. Questo significa, sottolinea Rizzio, «che in ogni famiglia più persone fanno questo mestiere, talvolta se lo tramandano da quattro o cinque generazioni. Si può dire che nel biberon dei bambini c'è il latte ma c'è anche l'ottone. E quindi il saper fare è nel patrimonio genetico di questa gente». E per rendere il tutto comprensibile anche ai non addetti ai lavori, porta spesso questo esempio: la Vir aveva acquistato dei robot giapponesi che non davano però una grandissima soddisfazione. Allora i tecnici della Vir ci avevano messo le mani, rendendo alla fine quei robot eccezionali.
L’artista della famiglia. Classe 1938, figlio unico e laurea in ingegneria meccanica al Politecnico di Torino, sposato con una torinese, Donatella Mossello, che è considerata l'artista della famiglia in quanto i suoi genitori erano davvero degli artisti, Rizzio è un imprenditore della seconda generazione anche se in realtà si considera della prima. È della seconda perché papà Giovanni era entrato da ragazzo nell’azienda di famiglia, fondata da due fratelli maggiori e specializzata ovviamente in rubinetti. Poi ne aveva fondata una sua, sempre nel campo dei rubinetti, insieme ad un altro fratello ed è proprio in questa azienda che Savino Rizzio ha mosso i suoi primi passi nel mondo del lavoro. Savino è il tipo tutto pepe: una ne pensa e mille ne fa. In breve, nell'azienda di papà e dello zio si sente ad un certo punto soffocare. Per dirla in maniera soft, non si sente nella condizione di realizzare le proprie idee. E allora decide nel 1971 di creare, ovviamente nel campo delle valvole, una sua impresa, la Vir, che significa uomo in latino ma significa anche più banalmente «Valvoindustria Ing. Rizzio».
Ecco perché lui si considera della prima generazione. Ma il bello è che non ci va da solo in questa nuova azienda. Un bel mattino dice a papà Giovanni: «Tu che fai? Vieni con me?». E papà Giovanni lo segue.
Rizzio non è solo tutto pepe, ha anche la lingua sciolta. È insomma abile nel vendere. E dal momento che il papà gli garantisce un prodotto di qualità, lui preferisce non vendere in Italia per non sottostare alla guerra dei prezzi e comincia a girare per il mondo in cerca di contratti. Il primo lo fa con degli americani che non sono contenti del loro precedente fornitore, quindi, dice, «in realtà sono stati loro a venirmi a cercare». Il secondo lo fa invece con un distributore svedese il quale, appena lo sente parlare, gli fa: «Il solito italiano che poi scompare...». E lui, che si sente sfidato, replica: «Mettimi alla prova...». E il contratto sarà più volte rinnovato. Oggi la Vir, che ha un fatturato di 25 milioni di euro, esporta il 95% dei suoi prodotti in una sessantina di Paesi. Le vendite maggiori, quasi il 30% del giro d'affari, sono realizzate nell’America del Nord, quindi Gran Bretagna, Giappone, Svezia e Germania. I dipendenti sono 130 divisi in tre stabilimenti, tutti a Valduggia: il primo, oltre ad essere la sede del quartiere generale, ospita la lavorazione meccanica e l'assemblaggio; nel secondo ci sono la fonderia e la produzione delle valvole in plastica, quelle adatte per il giardinaggio e l'irrigazione; il terzo, un ex stabilimento tessile, ospita il magazzino dei prodotti finiti.
Lo sbarco in California. In realtà c'è anche un quarto stabilimento. Già, perché nel 2003 la Vir ha acquisito in California, a Lake Forest, nei dintorni di San Diego, un'azienda di una ventina di persone, la Red-White Valves: specializzata in prodotti più sofisticati, era controllata da una società di trading giapponese ed era anche il principale cliente americano della Vir. «Così l'ho comperata», dice laconicamente Rizzio. Poi spiega tutta la strategia che c'è dietro questa operazione. Una strategia molto sottile di fronte alla concorrenza cinese che anche in questo campo è forte e copia alla grande (anche se per ora si tratta di brutte copie). Copia, chiarisce Rizzio, «addirittura il marchio». I cinesi, aggiunge, «sono temibili. Già adesso stiamo perdendo la fascia bassa del mercato, tra una decina d'anni corriamo il rischio di perdere anche la fascia alta». Ecco allora il motivo, sostiene, «del perché dobbiamo essere più a contatto con la distribuzione finale. Non possiamo, in sostanza, più limitarci ad essere solo produttori, dobbiamo anche essere distributori». Avere quindi il controllo reale del mercato. E alla guida dell’azienda americana ha messo il figlio Giovanni Battista, 1969, laurea in ingegneria elettronica gestionale al Politecnico di Milano e già negli Stati Uniti dal 1997 per, dice il padre, «farsi le ossa, fare esperienza».
«Internazionalizzazione». Giovanni Battista Rizzio, sposato con una giapponese di nome Sumiko e padre di due bambini, è il primogenito. In azienda, a Valduggia, dove è responsabile dello sviluppo dei nuovi mercati, lavora invece Valentina, 1971, la secondogenita. Si è laureata in filosofia alla Statale di Milano, quindi ha lavorato per tre anni a New York presso la ditta Alessi. E nella Grande Mela ha incontrato quello che poi sarebbe diventato suo marito, Onur Teke, un architetto turco di Smirne che ora fa parte dello staff di Renzo Piano. Insomma, gli esponenti della nuova generazione Rizzio hanno rotto con la vecchia tradizione che vuole «moglie e buoi dei paesi tuoi» e si sono internazionalizzati anche sul fronte matrimoniale. Commenta Savino, già nonno di tre nipotini: «In fondo me la sono cercata. Ho sempre spinto entrambi i miei figlioli ad andare per il mondo, a essere meno provinciali...». Del resto è stato proprio lui a rompere quella tradizione, sposandosi con una torinese. E poi si dice, osserva, «che noi piemontesi siamo bugianen...».
Ex presidente degli industriali di Vercelli, ex numero uno per quattro anni degli industriali piemontesi, Savino Rizzio è anche il presidente dell'Anima, la federazione che riunisce le associazioni nazionali dell'industria meccanica varia e affine. Ed in questo ruolo pone spesso l'accento sulla qualità e sulla forza del made in Italy nei confronti in particolare dell'aggressione delle «tigri asiatiche». Afferma: «Il marchio Italia è uno dei marchi mondiali più forti nella percezione dei consumatori. E può essere la nostra rivincita sfruttando l'incapacità dei produttori asiatici di mantenere costante il livello qualitativo della loro offerta». Oltre a tutto, aggiunge, «anche gli asiatici iniziano a fare i conti con l'ondata di rincari delle materie prime, dalle leghe di ferro a quelle di rame, e ciò li obbliga ad aumentare i prezzi. In qualche modo il divario tra noi e loro si riduce». Insomma, l'ottimismo prevale.


(80. Continua)

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