Red Bull, l’idea nata in un hotel di Hong Kong

La leggenda vuole che la storia della Red Bull inizi in uno degli alberghi più belli e famosi di Hong Kong: il Mandarin Oriental. Ci troviamo precisamente nella sontuosa hall dell’albergo. Un tale, che solo più tardi sarà noto come Dietrich Mateschitz, in Asia per lavoro, è particolarmente preso dalla lettura di un articolo del NewsWeek sui maggiori contribuenti giapponesi. Subito può venire in mente Mr Toyota o Mr Sony. Vi sbagliate. Dietrich leggeva di un signore noto come Taisho che aveva fatto la sua fortuna producendo una bevanda energetica. «Perché non produrla in occidente?», pensò tra sé. Bene, da qui parte la storia della Red Bull. Una «bevanda energetica» che contiene una quantità di caffeina superiore a quella presente nella Coca Cola, ma soprattutto contiene la taurina, un aminoacido che secondo studi giapponesi stimola il metabolismo, la circolazione sanguigna e il sistema nervoso.
Red Bull viene prodotta esclusivamente in Austria ed esportata in più di cento paesi. In alcune regioni (Francia) è bandita. Ma torniamo alle origini della bibita «che ti mette le aaaaaaali» (è il claim unico della campagna pubblicitaria!). Dietrich, per gli amici Didi, si trovava in Asia in quanto responsabile marketing della Blendax (poi acquistata dalla Procter & Gamble). Il successo però non arriva senza un pizzico di fortuna. Proprio un licenziatario della Blendax, Chalet Yoovidya, aveva il controllo di una società di bevande «energetiche». Si misero in proprio, ognuno con il 49% della società. La bevanda dal nome Kratundaeg (o in inglese «red water buffalo») si vendeva soprattutto presso i distributori di benzina per evitare che i guidatori si addormentassero al volante. Lui fece da cavia... Il gusto non era dei migliori, però una volta rientrato in Austria si accorse che la bevanda faceva, come per magia, svanire tutti gli effetti del jet lag.
Modificato leggermente il sapore, Dietrich impiegò tre lunghi anni per elaborare una delle strategie di marketing che è diventata argomento di studio in numerose università.
Fino al 1987, infatti, nessuno immaginava che una bevanda in lattina sconosciuta nel mondo occidentale e venduta ad un prezzo premium potesse avere possibilità di successo. Sì, ma qui, se non si è ancora capito, stiamo parlando di un uomo che ha scritto nuovi capitoli nella storia del marketing. Un uomo di 60 anni che rappresenta la nuova classe di miliardari.
Diventato ricco (il suo patrimonio è stato valutato da Forbes 2 miliardi di dollari), non per aver creato un prodotto innovativo, ma per averlo venduto in maniera innovativa. Lui continua a ripeterlo: «Quando ho cominciato, non esisteva un mercato per la Red Bull. Quindi l’ho creato». Come? Spendendo somme da capogiro in pubblicità, coltivando la sua passione per gli sport estremi (praticamente quasi tutti gli eventi di snowboard, mountainbike, paracadutismo...), sono da lui sponsorizzati e avvicinandosi quanto più possibile al mondo dei giovani (ormai Red Bull e vodka è uno dei cocktail più ricercati). E poi ancora gare tra dj, di break dance e concerti di musica rock.
Dietrich è single perché contrario al matrimonio, è sempre molto sorridente, è divertente, ambizioso ed è un vulcano di idee. Qualche «regalino» se lo è concesso. Innanzitutto lavora solo tre giorni alla settimana, gli altri li dedica alle sue passioni: possiede una flotta di 16 tra elicotteri, velivoli acrobatici e aeroplani da guerra, custoditi nell’aeroporto di Salisburgo in un hangar da 60mila metri quadrati - l’hangar 7 - a forma di ala, realizzato in vetro e metallo. Ha acquistato poi nel 2004 la scuderia Jaguar di Formula 1 (la Red Bull Racing), e addirittura una seconda nel 2005, l'italiana Minardi (Scuderia Toro Rosso).

Ha comprato dalla famiglia Forbes una casa nelle isole Fiji. Ora un resort. Per il suo sessantesimo compleanno si è regalato un parco a tema, e non gli mancano una squadra di calcio austriaca (la Red Bull Salzburg) e una americana (Rbny).

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