Regione, la trasparenza costa 600mila euro

Regione, la trasparenza costa 600mila euro

«Porte del Palazzo spalancate», «cifra distintiva dell’esperienza di governo», «condizione indispensabile per fare buona politica». Tutto si può dire tranne che alla Regione Lazio abbiano risparmiato paroloni nel dare l’annuncio del «progetto di trasparenza totale». E non hanno risparmiato nemmeno i soldi. Ma tra il dire e il fare, come recita il proverbio, c’è di mezzo il mare. E, a giudicare dalle parole dell’ex assessore al Personale Marco Di Stefano (che tre giorni fa ha parlato addirittura di «pizzini») forse la «casa di vetro» non è stata, poi, così cristallina. Anzi, sia Di Stefano, sia l’altro assessore defenestrato dall’ultimo ripasto, Mario Michelangeli del Pdci, hanno annunciato che andranno a «rileggersi le tante delibere fuori sacco votate in bianco, soprattutto quelle sulla sanità».
Eppure Piero Marrazzo, il 1° agosto 2008 disse testualmente: «Con la pubblicazione on line dei dati sulle direzioni regionali, facciamo un passo fondamentale nel percorso di condivisione delle scelte e di massima trasparenza sulla gestione della cosa pubblica». Nulla da obiettare nel merito. Corrisponde tutto a verità. Basta una veloce “navigata” sul sito www.regione.lazio.it e, accedendo alla sezione “Progetto trasparenza totale”, sono a portata di mano di chiunque curricula, retribuzioni e obiettivi di servizio di cinquanta tra direttori generali, capi dipartimento e dirigenti di strutture direttamente alle dipendenze del segretariato generale della Regione. Qualcosa però sembra non tornare. Spulciando infatti tra i mille rivoli della legge regionale di bilancio di previsione per l’esercizio 2009, appena approvata dalla Pisana, abbiamo scoperto che per sostenere le spese in materia di trasparenza e responsabilizzazione amministrativa è stato istituito un apposito capitolo con uno stanziamento, per l’anno in corso, di 600mila euro. Quasi un miliardo e duecento milioni delle vecchie lire, per avere un’idea più chiara. Ora, va bene che, come sottolineato dalle parole del segretario generale Francesco Gesualdi, «il Lazio è la prima regione italiana a realizzare un progetto di trasparenza di questo tipo che nel resto d’Europa si applica solo in Svezia e Inghilterra». Passi pure che il lavoro «parte da lontano» con l’obiettivo di far prevalere «la meritocrazia e l’eccellenza», come affermato, all’epoca, dallo stesso Di Stefano. Però appare eccessivo e anche in contraddizione con le finalità dell’intervento, che per controllare i costi di gestione della macchina amministrativa fuoriescano dal portafoglio regionale - e indirettamente dalle tasche dei cittadini - un bel mucchietto di quattrini. Ma non è tutto. A catturare la nostra curiosità è stato anche il fatto che il piano-trasparenza regionale sia il frutto di un’idea dell’Università statale di Milano e in particolare del prof. Pietro Ichino, titolare della cattedra di Diritto del Lavoro, che ha messo a punto appositamente per il Lazio questo progetto. Nulla da obiettare sulle capacità del professore, ma salta subito all’occhio il collegamento di natura politica tra i vertici dell’amministrazione regionale e Ichino, uno tra i fondatori del Pd.

Ci sia consentita, infine, un’ultima considerazione. Come mai, se l’azione della Regione è improntata a garantire la massima trasparenza, la banca dati delle delibere di giunta, consultabile sul sito della Regione, ogni tanto registra ritardi?

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